Il quinquennio che succedette all'occupazione militare francese, va contrassegnato
dall'opera incessante delle Sette, che elevando gli animi in isperanza adopravansi
in ogni guisa che i germi di libertà, inoculati negli animi dalla rivoluzione,
non che avvizzire, crescessero più rigogliosi. La quando il governo collegossi
con la setta dei Calderari
(1), in
luogo di sperati favori, la Carboneria sentì sopra di sé aggravata
la mano del potere, e insidie da tutte le parti le si tendevano. Delusa ebbe a sconcertarsi
e peggiorando parve decadesse, quando divergenze tra Calderari assolutisti e Carbonari
democratici si accentuarono. Non fu delitto o ribalderia che non le si appicicasse,
e quindi la mala vita fu titolo agli iniziati di farne parte e così tralignata
la setta, dalle pubbliche passioni passò alle private.
Però in sul finire del 1819, essendosi assennati e potenti uomini introdotti
nel suo seno, che non ignari della vastità della setta e della potenza, ove
si riformasse a virtù ed in pari tempo della fiacchezza dei governanti, acquistato
peso di consigli e di ricchezze, pensarono trarne profitto; e aiutata dal genio
e dalle passioni del tempo, e non potendo esser vinte dal senno di ministri logori
e vecchi per età e per dottrine, ignari dei tempi mutati, apparve, e fu maggiore
del governo stesso.
Nel 1820 tutte le provincie meridionali d'Italia pullulavano di sette di Carbonari,
e vie più le Calabrie, S. Marco eziandio aveva le sue Vendite, e sentendo
rombare la rivoluzione, appresti di guerra fervevano in esse. La prima nella Chiesa
di S. Marco Evangelista, non ancora aperta al culto, come d'ianzi s'è detto
presieduta da Ignazio Valentoni e da altri in qualità di gran Maestri. Si
accedeva ad essa da una porticina della parte di retro di detta Chiesa, ormai murata;
e non si entrava se non da quelli che per via di segni convenzionali eran conosciuti
per fratelli affiliati, o per attestato dei Dignitarii della Vendita. A chi non
fosse di parte loro, a scherno e ad infamia davasi il nome di lupo. All'altra Vendita,
che aveva sede nella Chiesa, di già interdetta, del Convento soppresso dei
Paolotti, presiedeva Filippo Fera, ed oltre i cugini, come chiamavansi, v'erano
altri adempienti a diversi ufficii che reputavansi utili per l'esatto funzionamento
della Società, come segretarii, cassieri ed altro. Da tanto brulicare di
Carbonari
(2) ne derivava, non foss'altro,
che la idea di nazionalità e libertà, a scambio di fraternità
messa in atto passasse a poco a poco a farsi sentimento, che facilmente si traduce
in azione.
La notizia intanto della rivoluzione di Cadice, 1817, nella Spagna, il cui esempio
sui Napoletani per l'antica unione del reame alla spagnuola monarchia, era potente;
fu la scintilla che accese il grande incendio; e i carbonari non mai si agitarono
tanto nelle lorto adunanze, non mai tanto crebbero di numero, come quando il grido
della rivoluzione dalle rive del Tago il vantato erosimo di Riego e Quiroga, per
aver sciolta la coscienza delle milizie dalla religione dei giuramenti, e mutato
in virtù lo spergiuro; si ripercosse fra di noi.
L'esempio quindi della Spagna che militarmente sollevossi per ottenere la costituzione
del 1812, mise fuoco alla mine; e nel regno fu sì grande e sì esteso
il moto di libertà che al grido di Viva Dio, il Re e la Costituzione, l'esercito
trovantesi in Monforte, preso a capo Guglielmo Pepe, comandante di un dipartimento
militare, disertò dalle regie bandiere. Il Re ondeggiante dapprima tra il
resistere e il cedere se ai rigori del dispotismo, o alla blandizie della libertà
abbandonar si dovesse; in fine del 6 luglio adagiossi, promise la desiderata Costituzione,
e il 13 dello stesso giurolla.
Interminabili le allegrezze del popolo in tutto il regno, inewsauribili le grida
del viva, i poeti intrecciavano inni, i sotterranei bui dei forti si vuotarono di
prigionieri, lì ammucchiati, quando Ferdinando lavorava a tirannide; gli
esuli tornavano agli abbracciamenti dei loro cari e a salutare il suolo della patria.
In mezzo a questa esplosione di entusiasmo e di auspicati tripudii si compirono
le elezioni dei Deputati al Parlamento napoletano. Francesco Vivacqua di tarsia,
Domenico Merice di Rossano, Pasquale Cerelsi di Fuscaldo, Francesco Le Piane e Domenico
Matera di Cosenza furono gli eletti; e a supplenti, richiesti dalla Costituzione
del 20, Giuseppe Giacobini, d'Altomonte e Domenico Critoni di Rossano. Il re, udito
nella camera il discorso inaugurale rispondeva con rendimenti di grazia a dio, che
aveva coronato la sua vecchiezza, con circondarlo dei lumi dei suoi amatissimi sudditi,
onde veniva fatto obietto di canto:
Il rampollo di Enrico e di Carlo
E che ad ambo cotanto somiglia
Oggi estese la propria famiglia
E non servi ma figli bramò
Volontario distese la mano
Sul volume di patti segnati;
E il volume dei patti giurati
De la Patria su l'ara posò.
Rossetti - Il veggente in solitudine
Fra tanta esternazione di gaudio, di auguri e di speranze, fra tanto osannare
e scintillio di armi e di nastri, che non solo nella capitale, ma in tutti i paesi
delle provincie, dove più dove meno avveniva; malcelata, come bruna nugoletta
sulla cima della montagna in lontano orizzonte, appariva un'ombra fosca, la Sicilia
in rivolta ed in armi. Si mandava sollecitar l'isola generosa che desse tregua ai
moti e aderisse essa pure alla costituzione spagnuola. Ma Sicilia messa in sul tirato,
fe' rumoreggiare artmi a difesa; in quella che altra nube infoscava l'orizzonte,
cioè: la Corte di Vienna pendeva per la ripulsa di ricevere l'Ambasciatore
Costituzionale di Napoli, invitando il re Ferdinando ad un congresso di principi
in Lubiana.
Augurii, applausi e speranze accompagnarono la partenza del re; augurii e speranze
fallaci poichè l'urna del tempo nascondeva sorti contrarie. Il 20 Marzo il
re ritornò in coda a cinquantamila Tedeschi, cui le proteste del Deputato
Poerio non valsero ad arrestare.
Sotto buoni capi il parlamento risolse, per far fronte allo straniero liberticida,
condotto dal re, mettere Napoli e il regno e sforzo di difesa. Si riunirono trentamila
soldati, ingrossati dalle schiere inviate dalle sette delle provincie, sotto il
comando del generale Pepe. Ma il passo degli Austriaci oltrepassa, prima di raccogliersi
l'esercito nazionale, i confini, onde le sorti della rivoluzione napoletana, che
tanti sacrifizii era costata, non ostante il buon volere e il valore di Pepe, Garascosa
e Rossarol, furono contrariamente decise.
Torno ai Carbonari di S. Marco. Di tutti gli uomini adetti alle armi, secondo gli
ordini ricevuti da Vendita centrale, si fecero tre classi: legionarii, i più
giovani, militi i più adulti, che avrebber difeso le provincie, urbani che
avrebber guaragnato l'interno della città. Un centinaio di legionarii, giovani
ardenti di amor patrio, ben provvisti di armi, munizioni e soprasoldo, formanti
una prima spedizione, sotto la scorta di
Felice Talarico
di Filippo e del cugino Gennaro, ambo col grado di tenente, dettero volta
e partirono per Napoli, forniti di mezzi dalla setta, a scopo, come da essa dicevasi,
di tutelare il Parlamento e lo Statuto, concesso e giurato spontaneamente dal re.
Intanto che cotesta prima spedizione, riunita alle altre schiere delle provincie
andavasi per cammino se ne apprecchiava dall'operosità della setta una seconda
guidata eziandio da buoni capi. Lo spettacolo di questa partenza va contrassegnata
da una esultanza comune a tutta la città perocché ancora negli animi
non era caduto il gelo della sfiducia. >Ripetevasi quel grido stesso, che in Napoli,
auspicante alla vittoria fu subito coperto col rumore delle fanfare degli stranieri.
(3)
I nostri legionarii accompagnati da tanti voti una con quella di Rogiano, di Fagnano
e di Cervicati, dopo molti stenti e travagli durati, giunsero alle vicinanze di
Castelluccio, ed oltre che qui vennero in conoscenza della condizione delle cose,
che piegavano a male; cioè l'esercito nazionale disciolto, turbato dall'ingerenza
delle Società segrete, inesperto e disperso, il Parlamento sciolto, la città
e le fortezze di Napoli, occupate dagli Austriaci, e la maggior parte dei volontari
provinciali, ritornatisi indietro ai loro campi, alle loro officine; oltre che,
io dico, che furono edotti del vero stato delle cose, furono inseguiti a fucilate
da qualche guardia cittadina, armatasi in quello stremo di torbidi eventi. Per la
qual cosa ritornaronsi i nostri; alcuni coprirono la ritirata col favor della notte;
altri evitarono di mettersi in evidenza per togliersi allo scherno e al beffardo
riso dei vili, stettero chiusi per qualche tempo; i molti fremevano impazienti,
come gli schiavi tra i nodi delle vecchie catene. Le libertà nazionali intanto
eran sospese, i deputati protestavano tra le spavalderie de l'esercito scioglientesi.
Risparmiamo frattanto la postuma taccia di viltà ai soldati, la debolezza
ed inesperienza al governo, di millanteria ai rappresentanti. Una rivoluzione, dice
il Cantù uscita dalle società segrete, cade facilmente preda di questa,
ove nessuno vuole obbedire, tutti comandare, e l'intrigante e il chiassone soperchiano
l'onestà e la modestia del moderato.
(4) Mancò però la virtù dei casi estremi! L'occupazione
militare intanto in Napoli al regno costò centocinquantotto milioni di ducati
[
un tomolo di grano, circa 55 kg, costava 1 ducato e mezzo], e il
popolo a cui spiaceva la presenza degli stranieri, vide Re Ferdinando, condotto
nuovamente a governare da Re assoluto, non mostrò quelle gazzarre, che suole
ad ogni nuovo vincitore, del quale seimila perirono per vino, per clima, per vizii.
Ma il regno tutto, e specialmente la popolosa Napoli, parea che avesse perduto tutto
il suo brio. E di tutte le provincie avrebbe potuto dirsi lo stesso, come di Napoli,
in quella che il governo intendeva al riordinamento del regno, sconvolto dal turbine
della rivoluzione e dalle arti bieche della Carboneria. Udiamo il Rossetti che batte
la via dell'esilio; dopo entusiasta avere inneggiato al re:
Muta l'ampia città partenopea
Squallidi i campi ch'eran pria sì belli!
E al rumor della querula marea
Ch'iva a sfumar nei prossimi castelli,
Da le cave prigioni a me parea
I geniti ascoltar de' miei fratelli!
E il sole, il sol mi parve un giorno intero
Funebre lampa a vostro cimitero!
[Rossetti] - Il veggente in solitudine
Ripiglio il seguito dei nostri legionari. Da una
delibera
del decurionato di questo Comune, 12 Gennaio 1821 ho rilevato che una risposta
a lettera dell'Intendente dell'11 dello stesso mese ed anno, si rapportano i nomi
di coloro che in qualità di militi si dovettero ratizzare proporzionatamente
per giungere alla somma per rata del vestiario completo alla quota di otto militi
della Compagnia di questo Circondario, destinata a far parte del battaglione marciante
per Napoli, sotto il comando di Felice Talarico in ragione di 4 venti (£. 85)
per ogni vestiario, giusta le premurose disposizioni del signor Colonnello, Duca
di Cerisano, con lettera 28 e 31 Dicembre 1820, dirette al Signor Ignazio Valentoni,
comandante dei militi. Dagli altri militi poi del Circondario si sono pagati come
sopra soldo del menzionato vestiario altri ducati cento (£. 425); cioè da
quei di Rogiano D. quaranta (£. 170), altrettanti da quei di Fagnano e venti
(£. 85) da Cervicati. La qual somma si è pagata nelle mani del loro capitano
comandante Ignazio Valentoni, in D. 170 pari a (£. 722.70).
(5)
Stante che la setta della Carboneria ha avuto in questo periodo di tempo tanta parte
nelle cose della patria, ed in S.Marco era numerosa, crederei defraudare i lettori,
se non facessi qui alcun cenno della organizzazione di essa, del modo come riconoscersi
e della formula della tessera degli affiliati. E siccome non a tutti piacciono le
notizie di un tempo, che irrevocabilmente scese in seno dell'eternità per
chi ne fosse vago come che sparte reliquie di età stravolte ed infelici;
le metto in nota.
(6)
Nel provvedere all'ordinamento del regno, una delle cure del governo fu quella di
dare i pastori alle sedi vescovili, che da più anni erano scoverte. Dopo
la ristaurazione del 1820 fu mandato nel 1824 in S.Marco M[onsigno]r Felice Greco
da Catanzaro, al Vescovo di Oppido fratello germano, contrassegnato con l'appellativo
di gentiluomo e di benefico. Essendo in quel tempo vescovo in grande aspettazione,
per la nostra città la venuta di lui fu un avvenimento, sì perchè
la diocesi era stata vedova per circa dieci anni, e si perchè sentivasi il
bisogno di rappacificare gli animi, dalle vicende politiche disorientati. V'era
stato il Mazzei, è vero ma era vissuto come vescovo appena un anno, e quindi
nelle cose scompigliate della chiesa, del Capitolo e della mensa vescovile non aveva
potuto porre ordine alcuno.
La mancanza di prelato aveva fatto risentire maggiori le sofferenze della carestia
del 1820, e quindi le accoglienze e le feste fatte al Greco furono oltremodo entusiastiche;
unanimi, degne qual convenivasi a nuovo pastore, che oltre l'essere fratello di
un altro vescovo e appartenere a famiglia distinta calabrese, era preceduto da bella
fama di bontà e gentilezza, onde le speranze che su di lui posò il
paese, risposero pienamente nell'avvenire.
Notevole sopra di ogni altra cosa nell'episcopato di questo buon Presule fu la predicazione
di un tal Mosciari, fatto venire in S.Marco appositamente da Catanzaro nella quaresima
del 1825. Non sogghigni lo sciolo [
saputello] in sentir bene di un
uomo della chiesa; come un fatto politico suole cangiare la fisonomia di un'età
la faccia d'una terra, il contrassegno di un secolo; così un fatto religioso
cangia talvolta con pari efficacia il morale di una città; anzi di tale effetto
è la parola del Verbo che, accompagnata dalla grazia, produce i miracoli
della diffusione del Vangelo che tutti sanno. La circostanza di quell'insigne propagatore
dell'evangelica parola, di Mosciari, di cui la grandezza non d'altro va misurata
che dalla stregua di fatti preziosi della parola di lui, ci sarà sempre carissima.
Presso i vecchi del mio paese di circa trenta o quaranta anni addietro era il nome
di Mosciari in benedizione; poiché a loro dire, non s'erano mai visti in
alcun missionario i prodigi della grazia, di che, secondo la espressione scritturale,
le mani di lui non erano vuote.
Tutto quello che cotesto santo missionario seppe fare in mezzo al popolo sammarchese
solevano quei nostri buoni padri compendiare in una sola frase: S.Marco, essi dicevano,
prima che venisse Mosciari, era selvaggio, noi da lui si imaprò a conoscere
Dio. Ed invero tutto quello che religiosamente e moralmente fu vantaggioso non si
apprese se non che da lui. S.Marco era invecchiata a brutta sentina di colpa, società
coniugali disciolte o per manco di virtù o per doveri traditi, famiglie per
malo esempio di genitori sconvolte e basta; poiché il pensiero rifugge dallo
spettacolo che in quel tempo presentava la città sfigurata dell'Evangelista.
Mosciari con la virtù del sacrifizio del martire e dell'apostolo, con le
altre doti di umiltà e di mansuetudine, ond'era addormentato, e con quel segreto
e quel fascino che alcuni uomini di dio possiedono, seppe fare di questa città
un popolo di buoni cristiani. Quante estorsioni compensate! Quanti odii e d inimicizie
riconciliate! Quanti gravi offese e offese di sangue, perdonate! Era venerato come
un Santo; dava sì largamente ai poverelli, da rimanere d'abiti e di lini
sprovvisto per lo scambio di essi.
Una casualità poi, fosse caso, fosse volere di Dio avvalorò maggiormente
la efficiacia del suo minstero
Un giorno era la chiesa piena oltre l'usato, quasi nessuno mancava della parte colta
del paese, ed il missionario predicava sul perdono dei nemici: aveva esurito tutti
gli argomenti, aveva preso il crocifisso, e tenendo la croce dalla parte dei piedi
e dalla parte della testa disteso, dicendo: Chi non vuol perdonare, vale a dire
che ha il coraggio di passare su questo divino cadavere! Ma gli parve, e forse era
vero, che l'uditorio contrariamente all'effetto altre volte ottenuto, non desse
segno alcuno di arrendersi alla parte compuntiva della sua predica. Allora il missionario
in un impeto subitaneo di sublime affetto si gettò ginocchione sul pergamo
e con le palme giunte e con gli occchi levati al cielo gridò: Signore mio
G. Cristo, se la parola del vostro indegno servo non vale a spetrare i cuori di
questi vostri figli, spetrateli voi con la vostra grazia, misericordioso Gesù!
Profferendo queste parole testuali, che la tradizione ha religiosamente serbato,
un forte tremuoto scosse dall'ime viscere la terra, onde parea che la Cattedrale
si rovesciasse tutta su quella immensa folla di popolo.
Un grido immenso, invocante la misericordia del Signore fu l'effetto di quel dolore,
e in luogo di fuggire, continuò a sentire il predicatore, che l'eccitava
a fermarsi, ed immagini il lettore qul partito da questa imprevista circostanza
abbia saputo trarre. Quale scena! Quale spettacolo! Qual vittoria di Cristo sopra
Satana! Un furore di grida, un piangere dirotto, un abbracciarsi affettuoso, un
andarsi cercando fieri nemici e baciarsi, un ripentirsi profondo delle proprie colpe,
un condonarsi le offese, un domandare di confessarsi lí per lì fu
le'effetto che seguì, effetto che può meglio immaginarsi che esprimersi.
Si riteneva in quel tempo ottimo consiglio tra popoli che uscivan dai vortici contaminati
delle rivoluzioni e delle corruttrice conventicole delle sette raddoppiare le pacifiche
e serene gioie della religione, come contrapposto salutare alle tumultuarie della
rivoluzione, scene che tornano commoventi a care al pensiero, come le ore più
belle di passato senza rimorsi, e dolci come le memorie dei nostri trapassati, il
mio buon padre che avea del patriarca, contemporaneo di quei giorni, mi recitava
racconto di quello che allora avveniva, con la mestizia del rimpianto.
Marco Can.co Picarelli,
Gaetano Can.co Ruffo,
Michele Can.co Perrotta,
Mosciari ed
Emiddio De Pasquale, giovinetto
che cantava inno alla Croce, furono i novelli cirinei che dovettero portare in spalla
le cinque croci. A seconda che nel luogo designato se ne trapiantava una, l'atto
si accompagnava dal missionario con un fervorino: ed un fiero picchiar di petti
un furore di panto rispondeva ai pietosi accenti del santo prete, cosa più
commovente in ordine a commozioni religiose che si era vista.
Da vescovi e da missionari che si mandavano di mezzo a popoli, che baldanzosi contro
ofnbi autorità avean trescato, il governo richiedeva quel che sempre ad un
ministero di pace e di amore reputossi contrario, ingiusto, vergognoso,
(7) il rapporto su la politica e la morale. Matuttoché
si camminasse ancora su la cenere degli accesi carboni delle cospirazioni del venti,
né il Greco di illibata memoria, né il santo Mosciari han leso alcuno;
anzi di quel Vescovo si decantano i buon i rapporti presso le autorità civili,
che valsero a riconciliare individui e partiti.
Un quaranta in cinquant'anni dopo in circa, essendo quel calvario per vetustà
prossimo ad andare in totale rovina, si volle rinnovare per iniziativa di un mio
cugino
Cristofaro Ignazio Can.co, e poscia
Decano, che all'operosità congiungeva lo zelo per la casa di Dio; e in mezzo
a plaudente popolo divoto, le cinque croci furon portate da M[onsigno]r
Vincenzo arcidiacono Campagna dallo stesso Ignazio Cristofaro, da un tal
Figliolia, ex Gesuita, che in quell'anno predicava la Quaresima in S.Marco, dal
sacerdote
Luigi Romita e dall'autore di queste
memorie, il quale fu adibito a dire i cinque analoghi discorsetti, dal colle, che
coronato di castagni, prospetta il Calvario stesso.
Capitolo IV parte II
(1) Tutti gli
storici di cose napoletane fanno cenno alla Setta dei Calderari, ma se ci fosse
alcunché di reale, mostrerebbe che le società segrete, se non sieno
terribili, riescono ridicole, e mentre credono avere in pugno il fulmine, non hanno
altro che uno zolfino. Ma poiché ormai una cosa ad un uomo non è quel
che è, ma quel che se ne dice, passò in giudicato, che tale setta
istituita da De Maistre, avesse a capo Francesco IV di Modena e il Duca del Genovese,
che fu poi Re Carlo Felice, il Principe di Canosa, altri Principi e Prelati.
Io non potei, scrisse il Cantù, mai venire a concetti positivi intorno a
questi Sanfedisti, o sí Calderari, che dicansi corrispondere nel Napoletano.
Io posi prima in luce, poi venne da altri stampata una informazione su ventotto
società segrete, comparse nei processi del 1821; ma dei Sanfedisti o Concistoriali
dice continuo parlarne i Carbonari pontificii, pretendendoli diretti ad espellere
gli Austriaci, e ristabilire la preponderanza della Corte di Roma; però non
seppero mai esibire più accertate notizie.
(Cantù: Vol.II Della Indipendenza italiana. Cap.XVI pag.136.)
(2) I Carbonari
derivavano dai Franchimuratori e di questi adottarono alcuni riti e la gerarchia;
non ristettero com'essi, soltato alla beneficenza ed ai godimenti, ma tolsero per
iscopo la indipendenza della patria e il governo rappresentativo; anzi in Calabria
loro nodo, avevano costituito una vera repubblica. I patrioti studiarono usufruttare
la mal dissimulata ambizione di Murat, il quale porse orecchio alle insinuazioni,
ma la tenne in petto, finchè Napoleone potente. Quando poi ai geli settentrionali
si fu appassita quella gloria ch'era sbocciata ai giorni nostri soli, gli si fecero
attorno con maggiore istanza: essere opportuna l'ora, vuota di eserciti d'Italia,
indecise le sue sorti, i popoli disgustati e degli antichi e del nuovo dominio;
gli alleati stessi darebbero mano a chi si chiarisse contro Napoleone come avevano
fatto col re di Svezia.
I Carbonari Napoletani in ispasimo di una costituzione, simigliante a quella del
1812, data in Sicilia, fecero intelligenza coi Siciliani e con Bentik, il quale
prometteva, se fossero ripristinati i Borboni. N'ebbe sentore Murat, e alla napoleonica,
nemico di ogni statuto, fin di quel di Bajona, proscrisse allora i Carbonari, e
raddoppiò la vigilanza. Mandato il formidabile Manhes in Calabria, per basso
tradimento nel 1813 fu preso ed ucciso Vincenzo Federici, detto Capobiamo, che n'era
il capo in Cosenza; e si usarono violenze non altrimenti che ancora si trattasse
di masnadieri.
Sotto il dominio di Murat era nata nella Calabria la società dei carbonari
contro l'invasione sì delle idee, sì della dominazione forestiera.
Teneva gran parte di riti massonici, se non che mentre i Franchimuratori proponevano
di vendicare Iram, e andavano in festa e in deismo confacente con la filosofia del
secolo passato, I carbonari di forza melanconica, voleano vendicare la morte di
Cristo, e ristabilirne a loro modo il regno. La polizia napoletana, non avendo potuto
impedirne la grande diffusione, pensò corromperli, come s'era fatto con la
Massoneria, facendovi aggregare e spie e magistrali e lo stesso re, massime dopo
che egli ruminò l'indipendenza. L'esercito di Murat che v'era tutto iscritto,
nella sua ultima invasione lasciò molte vendite nelle Legazioni, d'onde si
diffusero nella Lombardia, e massime a Bologna, Milano, Alessandria. Per opera di
alcuni nostri Napoletani, esuli nel 1799, s'introdusse in patria e in Francia, in
Svizzera e in Alemagna, dove la setta portava altro nome, e i Franchimuratori erano
divisi in Logge del rito moderno, Logge del rito antico o scozzese, e Logge del
rito Misraim, o Templari (che ora in Francia dipensono dal grande oriente, corpo
dei deputati delle singole logge) e che nelle parole libertà, eguaglianza,
fraternità con le quali durante la rivoluzione, compivasi il quotidiano gioco
del
Triangolo di acciaio, cambiarono l'ultima in umanità. Su questo
tallo fu innestata la Carboneria, principalmente d'Armando Bazar che poi fu dei
primi Sansimonisti, del fiorentino Bonarrotti, già apostolo di Baboeuf da
Flofard e Buches. Per dire alcuna che del loro ordinamento una vendita particolare
non comprtendeva più di
buoni cugini in numero di venti, in relazione
fra sè, ma isolati dalle altre Vendite: i Deputati di venti parziali formavano
una Vendita centrale che per via di un Deputato comunicava con l'altra Vendita,
e questa per un emissario riceveva l'ordine della Vendita superiore e da un Comitato
di azione. Ciò aiutava il segreto, la diffusione e i ritrovi senza togliere
l'unità. Nulla scrivevano, ma partecipavansi a voce, si conoscevano per mezzo
di carte tagliate e delle parole Speranza e Fede: alternavano le sillabe Ca-rità,
stringendosi la mano, faceano col pollice il C e la N. Lo spergiuro e il rilevare
il segreto dei segni, del regolamento, dello scopo erano puniti di morte. Versavano
alla cassa comune un franco per mese. I dissidi fra loro si componevano dai capi.
Fraternizzavano con gli Illuminati di Germania, con i Franchimuratori di Svizzera,
coi Carbonari di Napoli, di Piemonte, di Lombardia e di Spagna ai quali fu commesso
di fare i primi tentativi, che, secondati da altri, aprirono l'abisso ai malcompaginati
governi di quel tempo.
(Cantù Storia Univ. Epoc. XVIII. Il settecento, pag.64)
(3) Questi i
nomi di quelli che sotto il comando di Felice Talarico di Filippo, giunsero in mia
conoscenza: Felice Talarico, Gennaro Talarico, Domenico Caporale, Arcangelo Mazziotti,
Nicola Gualtieri, soprannominato Pane di Grano, che non so, se sia il brigante che
sotto tal nome militò tra le schiere dei Sanfedisti, Andrea Siciliano, Bruno
Talarico, Domenico Battaglia, Francesco Antonio Milena, Vincenzo parisi, Pietro
Piccolillo.
(4) Pepe Memorie,
II Cap. XI descrive gli effetti della Carboneria, di che tanto lagnavansi gli Ufficiali
superiori, avversi al governo Costituzionale
(5) Qui dietro
ho messo la lista di coloro che in qualità di legionarii fecero parte del battaglione
che marciò alla volta di Napoli, qui mi piace di far conoscere i nomi dei Militi
oblatori che munirono di vestiario i partenti per fare che in S. Marco le buone
cause, eziandio sfortunate, han trovato sempre eco nei cuori. Ecco i nomi: Luigi
Aiello, Michele Cristofaro, Filippo Fera, Saverio Misuraca, Giuseppe Talarico, Nicola
Pagano, Arcangelo D'Ippolito, Bruno Talarico, Angelo Credidio di Domenico, Gaetano
Sicilia, Giuseppe Scarpelli, Giovanni Piemonte, Filippo De Marco, Francesco Loffredo,
Nicola Rondinelli, Domenico Battaglia, Francesco Vivone, Arcangelo Rimedio, Antonio
Amatuzzi, Antonio Candela di Giuseppe, Antonio Longobucco, Angelo Credidio di Nicola,
Francesco Dardis di Vincenzo, Vincenzo Aiello, Giovanni Batt. Fragale.
(6)
A... G... D... U...
In nome e sotto gli auspicii di S.Teobaldo e dell'A... V...
La R... V... I... V... (qui il nome della Vendita).
A tutte le VV... RR... Regnicole ed estere
S.S.S.
Noi G.M. e membri dignitarii di questa R... V... regolarmente costituita dall'O...
di (il nome del luogo ove esiste la Vendita) chiariamo ed attestiamo che il B...
C... C... (qui il nome dell'affiliato, il luogo nativo, la provincia, l'età
e la condizione) sia membro di questa R... V... in grado (o di maestro o dis emplice
affiliato). La sua buona condotta morale e la regolarità dei suoi esatti
travagli ce l'han reso caro e stimabile. Invitiamo perciò tutte le VV...
dei B... D... C... C... di riconoscere il B... C... (N) nella sua accennata qualità
accordandogli la considerazione che gli è dovuta, e somministrargli dei soccorsi
in caso di bisogno, siccome avremo la soddisfazione di fare per esse. In fede di
che gli abbiamo rilasciato il presente diploma fatto e spedito all'O... (il luogo)
il dì (giorno mese ed anno) firmato di nostro proprio pugno e munito del
nostro Bollo e Suggello per aver pieno ed intero effetto dietro il confronto della
firma del detto B... C... avanti di noi.
Il B... C... Segr. (il nome) + ... 2. Ass.91 BC... G... M... Il B... C...
1. Ass. (nome del Dignitario) + (la firma del Gran Maestro + il nome dell'assistente
+ ...)
Per mandato conforme della R... V... 91 B... C... Orat... 91B... C... Ies... Il
B... C... Bollato e Suggellato da noi EEE.
La presente formola una con le altre carte, un triangolo, un teschio di morto, un
pugnale con manico lavorato in argento (forse opera di
Greco) ed altri oggetti simbolici furono da me rinvenuti in una cassetta
nel soffitto al di sopra della volta della Chiesa di S.Marco Evangelista, dove come
ho detto, fu una delle due Vendite di S.Marco, ed ove mi dovetti recare per nascondere
alcune carte in tempi di pericolose ricerche.
(7) Il cav. Medici
dei regii consigli avea rappresentato la Carboneria come vaghezza e delizia di poche
menti, e accertando a re divoto (con astuta menzogna) che i missionarii pervenivano
col santo mezzo delle confessioni a dissiparlo (Colletta: Storia del Reame di Paolo,
Vol. II, lib. IX, cap. I, pag,236)
Ecco la ragione, per la quale spesso le insulse dicerie contro la confessione acquistano
credito e si spacciano senza cognizione di causa, né ombra di verità.