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Questa pagina fa parte del sito "L'Ottocento dietro l'angolo"  (www.sanmarcoargentano.it/ottocento/index.htm) di Paolo Chiaselotti
 
L'uccisione di Francesco Cristofaro a San Marco Argentano
Atti del processo della Gran Corte Criminale di Cosenza
a carico di Gaetano Cristofaro e altri per l'uccisione di Francesco Cristofaro

Trascrizione degli atti conservati nell'Archivio di Stato di Cosenza a cura di Paolo Chiaselotti
 
COMPENDIO DEL PROCESSO

Parte 1ª - Nozioni del fatto criminoso

Il Regio Giudice di Sammarco [Giambattista Cavallo] con suo rapporto straordinario del 15 gennaio [1848] annunziava che verso le ore cinque della notte¹ antecedente mentre D.Antonio Cristofaro era uscito dalla propria abitazione onde frenare le intemperanze che il proprio nipote D.Gaetano commettea nella publica piazza era stato dallo stesso ferito a colpi di stile sulla testa; e che essendo in seguito accorso in di lui difesa il proprio suo figlio D.Francesco Cristofaro, era stato questi prima percosso sulla testa a colpo di bastone da Giuseppe Quintieri Esposito.(il quale era unito a D.Gaetano Cristofaro) e quindi inseguito ed ucciso a colpi di stile da' due suddetti individui e D. Carlo Cristofaro fratello del D.Gaetano -
Rapportava infine che complici a tali reati erano anche D.Giacomo e D. Salvatore Campolongo, D. Luigi canonico Cristofaro, e D. Vincenzo Talarico, tutti di Sammarco, oltre agli altre tre individui di sopra nominati.
Tutto ciò il Giudice locale rilevava dalla prima dichiarazione dell'offeso D.Antonio Cristofaro, il quale esponeva formale querela contro tutt'i sopra nominati individui [vedi anche deposizione davanti al giudice istruttore del Distretto di Cosenza]

¹ Le ore cinque della notte corrispondono alle ore 22 circa. La notte iniziava, infatti, al tramonto del sole, e a metà gennaio il sole tramontava alle diciassette.

Parte 2ª - Pruova generica


Dall'ispezione generica eseguita in persona di D.Antonio Cristofaro nei modi di Legge, risultava che costui aveva riportata una ferita sul sincipite a parte posteriore destra, con bordi eguali sanguinolenti in linea trasversale, lunga circa un pollice e mezzo, larga due linee, interessando cuoio capelluto e muscolo sottoposto. Ritenendosi quindi siffatta ferita causata da strumento di punta e taglio, e poiché capace a poter sviluppare infiammazione nella parte offesa, la giudicavano perciò pericolosa di vita per gli accidenti.
Con una seconda osservazione eseguita il giorno 27 andato quel pericolo tuttavia perdurava.
L'autopsia eseguita sul cadavere dell'ucciso D.Francesco Cristofaro fa rilevare che lo stesso avea riportato non meno di cinque ferite. Cioè la prima sita a parte sinistra dell'occipite sottocutanea di figura obbliqua ed angolosa nel mezzo, lunga un pollice e mezzo circa, larga tre linee circa ed irregolare ne' suoi margini, senzacché avesse peraltro interessato gli organi del capo.
La seconda sita anteriormente e superiormente all'articolazione dell'omero sinistro, in direzione trasversale di figura regolare ad angoli acuti, penetrante in cavità, ed interessando fino alla profondità di due dita traverse il pulmone corrispondente. La terza sita nel mezzo dello sterno a destra longitudinalmente penetrante in cavità con frattura della costola sottoposta interessando il pericardio e con esso l'orecchietta dritta del cuore, cosicché il pericardio era ingombrato da uno strato di sangue di circa once dieci [più di un quarto di litro]. La quarta sita trasversalmente tra il mezzo del margine della scapola sinistra e spina dorsale, regolare, ad angoli come le prime, penetrante in cavità da sopra a sotto, ferendo lo stesso pulmone sinistro verso il suo mezzo nella profondità di due dita traverse. La quinta finalmente finalmente [voce erroneamente riscritta] consisteva in un'ecchimosi sita sulla vola della mano dritta in corrispondenza del metacarpo.
I periti quindi giudicavano la prima ferita, cioè quella dell'occipite, prodotta da strumento tagliente-contundente, e pericolosa di vita per gli accidenti. Le tre penetranti in cavità prodotte da strumento di punta e taglio, pericolose di vita per la loro natura, ed infine quella della mano prodotta da strumento contundente di minor pericolo. Con altro esame suppletorio gli stessi periti sanitari, dietro quesiti proposti dall'Inquisitore delegato giudicavano:
1° che la ferita nell'occipite offrendo nelle sue labbra una irregolarità, riguardo al taglio de' comuni tegumenti, e figura della ferita stessa, ed inoltre una congestione sanguigna diffusa ne' vasi capillari in tutta la ferita e ne' contorni di essa, che sia stata prodotta da strumento contundente che potea pur tagliare come palo, pietra ecc.
2° Non potersi con certezza stabilire se le ferite penetranti in cavità siano state prodotte da uno o più strumenti, attese le svariate posizioni del corpo in atto di essere offeso, la diversa violenza e direzione con cui può essere vibrato un colpo, e la possibilità di due strumenti simili o quasi simili.
3° Che ciascuna delle tre ferite penetranti in cavità dovea isolatamente produrre la morte per aver offesi organi essenzialissimi alla vita.

Parte 3ª - Pruova specifica


Esso D.Antonio Cristofaro ritrattando la parte d'imputazione addebbitata a D.Vincenzo Talarico e D.Carlo Cristofaro (per essersi assicurato che il primo nella sera del misfatto trovavasi nella propria abitazione, e l'altro nel Seminario di Sammarco, ove dimora in qualità di studente), estendeva la sua querela, in grado di complicità, contro D.Eugenio Romita e Vincenzo de Napoli ambo di Sammarco, e molto più contro D. Luigi Cristofaro che riteneva come esecutore materiale de' misfatti in parola unitamente al fratello Gaetano.
Dichiarava inoltre che i due Cristofaro nell'esecuzione di tai reati avean agito con tutta premeditazione attesa l'inimicizia che tra essi preesisteva, e che venne originata da una lite civile che tra essi agitavasi [n.d.t: per un lascito della zia Maria Francesca Cristofaro in Cinelli], ed aggiungeva per altro capo di accusa che siccome il Sindaco della Comune avea fatto avvertire le drude de' due fratelli Cristofaro, che trovavansi incinte, a dover dar conto de' parti che avrebbero dato alla luce, essi ritenendo tutto ciò esser opera sua e del figlio D. Francesco (per essere egli Cancelliere Comunale e l'altro sostituto) ne avean fatte contro di essi pubbliche minacce; né taceva che il D. Gaetano qualche sera innanzi all'accaduto avea teso un agguato contro l'estinto.
Ed infine affermava che gli uccisori Cristofaro avean anche potuto agire per vendicarsi dell'amorosa, ma onesta, relazione che tra l'estinto passava e la di loro sorella Donna Giovannina Cristofaro.
Or dal complesso delle pruove stabilite in processo risulta quanto segue.
Il giorno di venerdì 14 Gennaio [1848], dopocche D. Pasquale canonico De Chiara, D. Domenico canonico Talarico, Don Luigi canonico Cristofaro, e D. Eugenio Romita si eran tra essi amichevolmente trattenuti nella casa del primo, mangiandosi una focaccia di granone, condita con alici salate e aspersa [ironia della parola: erano tutti preti!] di abbondante vino, vi sopraggiunsero il capobrigata D.Giovanni Annicchiarico, D. Giacomo e D. Salvatore Campolongo, D.Gaetano Cristofaro, e D. Luigi Sarpi. Di costoro qualcuno partecipò al ben frugale banchetto de' primi quattro, il quale ebbe fine con proporne un altro da eseguirsi nella stessa sera del 14, ove dovea mangiarsi una porchetta (tuttocché giorno di venerdì [vi erano sacerdoti]) di cui il Canonico Cristofaro dovea complimentare la brigata. Però non tutti i componenti di essa accettavano l'invito, ed i convitati si ridussero a' due fratelli Cristofaro, a' due Campolongo, D. Salvatore e D.Giacomo, D. Eugenio Romita, e per concomitanza vi parteciparono ugualmente il trappetaro Vincenzo De Napoli, e Giuseppe Quintieri Esposito, ambo al servizio di Cristofaro, Giuseppe Pastore domestico di Campilongo, ed un picciolo domestico del signor Romita a nome Francesco Esposito.
... Del mangiare e del bere "spento in ciascuno il natural desio" si avviarono tutt'i suddetti individui verso la piazza di basso del paese, e pervenuti innanzi la farmacia del signor Conte si risolverono D. Luigi canonico Cristofaro e D. Eugenio Romita a condurre nell'abitazione di quest'ultimo il piccolo domestico Esposito perché ebro e intirizzito dal freddo per la neve caduta.
Intento gli altri rimasti, cioè D.Gaetano Cristofaro, i due Campolongo, Giuseppe Pastore e Vincenzo De Napoli continuando il cammino pervennero alla piazza di basso ov'esiste l'abitazione di D.Antonio Cristofaro. Quivi il sudetto D. Gaetano essendo alquanto avvinato, incominciò a profferire parole indecenti, a saltare sulla neve, a far colla bocca de' peti, e batter con un palo sulla scala dello zio D. Antonio Cristofaro. Questi supponendo forse a lui diretti quegli atti di scherno, uscì fuori per quietare la insolenza del nipote D. Gaetano, e mentre a tanto era accinto venne pria percosso a colpo di palo sulla testa da un individuo, che indicato sul principio per Giuseppe Quintieri Esposito; e quindi nella stessa parte ferito a colpo di stile dal nipote D. Gaetano.
Accorso D. Francesco Cristofaro in aiuto del padre D.Antonio munito d'una coltella da caccia, avea con questa cercato offendere il cugino D.Gaetano, ma percosso a colpo di palo sul braccio da De Napoli, fu costretto a darsi alla fuga, dirigendosi pel vico Puzzillo, ove essendo stato raggiunto dal cugino, vi restò trafitto a colpi di stile. Niun dubbio cade che l'uccisore di D. Francesco Cristofaro sia stato D.Gaetano Cristofaro, il quale fu visto dal testimone Salvatore Scarpello in atto di compiere l'eccidio.
Gravi sospetti poi sorgono sul canonico D. Luigi Cristofaro, d'aver anch'egli avuto parte attiva all'omicidio per le mosse serbate in quella circostanza.
Dalle dichiarazioni esistenti a' fatti emarginati risulta che dal calpestio inteso nel vico Puzzillo nell'atto dell'uccisione si è argomentato che non due ma più persone doveano per colà fuggire: questo elemento è legato all'altro della subitanea comparsa del canonico Cristofaro in casa di Giuseppe Scarpello (quando appena vi si era introdotto ancor caldo il cadavere del cugino) e dalle espressioni ironiche profferite contro l'ucciso e dalle minacce dallo stesso signor Cristofaro avanzate contro Salvatore Scarpello, quando questi sostenevagli la reità del fratello.
Né vale la posizione a discolpa data dal ripetuto D. Luigi Cristofaro nel suo interrogatorio: di attrovarsi cioè nell'atto dell'omicidio tuttavia in casa del sudetto D. Eugenio Romita, e di esser solamente accorso nel vico Puzzillo alle grida intese. Questa posizione vien combattuta dalle due seguenti circostanze di fatto.
1° Che dalla casa Romita non poteansi sentire le grida che si facevano nella piazza per la distanza che tra questi due punti intercede.
2° Che quando anche il Cristofaro si fosse realmente trovato in casa Romita nell'atto del reato non potea con tanta sollecitudine conferirsi in casa di Giuseppe Scarpello, quando appena era stato consumato l'omicidio in persona del cugino D.Francesco.
D'altronde dalle deposizioni annotate in margine risulta che D.Gaetano Cristofaro, consumato l'omicidio fuggì via con un'arma lunga in mano, simile ad uno stocco; ed essendosi rinvenuti sul luogo dell'eccidio la coltella da caccia appartenente all'ucciso ed un lungo stile intriso di sangue, ne segue che due, e non uno, han dovuto essere gli uccisori. Questo stile apparteneva a D.Vincenzo Cristofaro, fratello degli incolpati; e di uno stile appuntito il canonico Cristofaro era munito nella fase dell'accaduto prima di verificarsi il reato.
La perizia eseguita sopra luogo à dimostrato la facilità di aversi potuto gli uccisori sottrarre colla fuga dopo la consumazione del reato; ed à convalidato le posizioni stabilite in processo.
Comunque non abbiasi potuto pienamente sviluppare la parte sostenuta dal resto degl'imputati in quella scena di sangue, pure il loro contegno si è mostrato ben equivoco per essersi dati alla fuga.
La morale ed opinione attribuita a tutti gl'imputati non è molto favorevole: quella de' due Cristofaro è cattivissima. I documenti di rito esistono in processo.

I TESTIMONI AL PROCESSO      ROMANZO DI PAOLO CHIASELOTTI SUL DELITTO  

[N.d.T. Solo Gaetano Cristofaro, che ammise le sue colpe, fu giudicato colpevole e condannato a diciannove anni di carcere]

a cura di Paolo Chiaselotti