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di Cris Reiland Santoro (Testo originale portoghese tradotto da Paolo Chiaselotti) Un anno fa, sistemando alcune carte, ho ritrovato un fascicolo di documenti rilegati che mio padre mi aveva dato 18 anni prima, quando mi trasferii dal Brasile negli Stati Uniti. Conteneva copie di certificati di nascita e di matrimonio della famiglia. Guardando i documenti mi venne l'idea di far dono a mio padre dell'unico documento che gli mancava: il certificato di nascita del suo bisnonno. Sarebbe stato un interessante regalo dal valore sentimentale. Il giorno seguente chiamai l'ufficio anagrafe di Fuscaldo, in Calabria (Italia), città di origine della famiglia, per sapere come muovermi per cercare un suo certificato. Purtroppo, dato che non sapevo né la data né il luogo di nascita, mi fu detto che un'eventuale ricerca sarebbe stata impraticabile. Chiamai mio padre, nella speranza che egli avesse qualche informazione che mi potesse aiutare, ma lui non sapeva nulla del suo bisnonno e quasi nulla di suo nonno, morto prima della sua nascita. L'unica informazione che aveva era che il nonno, a soli undici anni, si era imbarcato per il Brasile sotto la responsabilità del comandante della nave. Una volta giunto nel porto di Santos era fuggito e non fece più ritorno in Italia. Non avevo mai sentito questa storia, e l'informazione mi lasciò scioccata. Da solo? Perché? E come fece a sopravvivere? Mio padre non ne conosceva il motivo, e mi suggerì di chiamare zia Carminha che sapeva tutto sulla famiglia. E così, mossa da un senso di angoscia al pensiero delle difficoltà incontrate da un bambino solo in un paese straniero, decisi di far luce su questa storia. Telefonai a mia zia Carminha la quale mi disse quello che sapeva e ciò che ricordava delle storie che suo padre le aveva raccontato. Chiamai Aulo, pronipote di Raffaello Santoro, fratello di mia bisnonna, che mi aiutò e mi mise al corrente di ciò che sapeva sulla sua famiglia e sui discendenti di Raffaello. Aulo aveva avuto la fortuna di ascoltare le storie che sua nonna gli aveva raccontato. Mi misi in contatto con zii e cugini in cerca di informazioni. Mi recai in uffici e cimiteri. Contattai archivi di varie chiese, la Biblioteca Nazionale di Cosenza, la Biblioteca del Congresso di Washington, l'Archivio del Centro della Memoria Storica dell'Università Statale di Campinas e l'Archivio Storico Municipale Washington Luis di San Paolo. Mi ero imbarcata nell'affascinante mondo della storia e della genealogia alla ricerca dei miei antenati. Questa ricerca mi aiutò a "capire la necessità di mantenere le nostre tradizioni di famiglia e di soddisfare la giusta curiosità, che ci porta a chiedere da dove veniamo, a quale nazionalità, anche lontanamente, apparteniamo per legami di sangue, e quali antefatti resero grandi i nostri antenati "(Luiz Gonzaga da Silva Leme genealogia Paulistana, 1903, Vol. I, pagina III). E così motivata, ho scritto questo breve testo in memoria di mio nonno, Eugenio Santoro. Il mio bisnonno era italiano, nato Fuscaldo (Calabria) il 28 giugno 1865. Fu battezzato col nome di Eugenio Maria Carmine nella chiesa di San Giacomo Maggiore, patrono della città. Era il nono figlio di Francesco Santoro e Maria Luigia Calabria. I nostri antenati, fuscaldesi da oltre 350 anni, appartenevano a una famiglia di scultori, intagliatori e maestri artigiani. La creatività degli intagliatori, scultori e scalpellini di Fuscaldo era di alto livello ed ebbe il suo periodo di massimo splendore nel XVIII secolo. Essi crearono un nuovo linguaggio architettonico, con dovizia di decorazioni e di elementi modulari, in particolare nella costruzione di chiese e portali a Fuscaldo, riprodotti poi nei secolisuccessivi in tutta la Calabria. L'interno della chiesa di Santa Maria della Stella di Scarcelli è un esempio del lavoro di scultura e intagli della famiglia. Maria Luigia, sua madre, era "filatrice", un'attività che richiedeva mani esperte e grande esperienza nella preparazione della seta. Questa esperienza era tramandata da madre in figlia. Con i filati le donne facevano lenzuola, tovaglie, asciugamani e vestiti. Nel 1871, dopo l'Unità d'Italia, per ragioni economiche, politiche e personali, si verificò in Italia un nuovo fenomeno sociale. Nel 1876, all'inizio dell'immigrazione italiana, Eugenio, a soli undici anni, venne in Brasile, sotto la responsabilità del comandante. L'ipotesi più concreta è che che si fosse imbarcato allo scopo di imparare il mestiere del "Mozzo" (marinaio ausiliario) attività esercitata da ragazzi al di sotto dei 18 anni di età. La traversata dell'Atlantico, che durava dai 21 ai 30 giorni, era molto pericolosa a causa di epidemie, tempeste e incendi a bordo. Quando la nave attraccò al porto di Santos, Eugenio, probabilmente traumatizzato dal lungo viaggio, fuggì dalla nave. Il comandante, tornato in Italia, raccontò ai familiari la fuga del ragazzo e uno dei fratelli venne in Brasile per cercare, senza successo, di localizzarlo. Eugenio andò nella città di San Paolo, dove c'era una forte presenza di immigrati italiani attratti dalle opportunità di commercio e industria. Fu quindi accolto da una famiglia calabrese che di fatto lo adottò. Francesco, padre di Eugenio, morì il 27 marzo 1877, a 45 anni e fu sepolto nel Convento di San Francesco di Paola. Eugenio, che aveva appreso la professione di sarto, si integrò nella società brasiliana. Eugenio Santoro conobbe la mia bisnonna, Aurora Alves Franco, figlia di Mariano José Alves de Moraes e di Maria Chiara Franco, giunti in Brasile nei primi secoli della colonizzazione. La famiglia di Alves de Moraes veniva dal Portogallo e discendeva da John Ramalho e Bartira. I membri della famiglia Franco, oriunda del sud della Spagna e stabilitasi a Socorro, si occupavano di agricoltura e di politica. Saturnino Antonio Franco, zio di Aurora, fu Presidente della Camera e, nel periodo tra il 1883 e il 1889, Vice Presidente del partito repubblicano. La famiglia Aurora non approvava la relazione della figlia con un sarto italiano. Aurora, tuttavia, riuscì ad imporre la propria volontà e l'8 dicembre 1887 sposò Eugenio nella vecchia Chiesa Madre. Eugenio aveva ventidue anni e Aurora sedici. Testimoni del matrimonio furono Giuseppe Aloya e Giovanni Battista Lancellote. Il 13 maggio 1888, la principessa Isabel firmò la cosiddetta Legge Aurea, che abolì la schiavitù in Brasile. Dopo l'abolizione della schiavitù, il governo brasiliano favorì l'ingresso di immigrati europei per sopperire alla mancanza di manodopera. Migliaia di italiani giunsero in Brasile per lavorare nelle piantagioni di caffè all'interno dello stato di San Paolo. Il 9 aprile 1889, Aurora diede alla luce Maria Luiza, che fu battezzata da Padre Eugenio Dias Leite nella chiesa della Consolazione. I suoi padrini furono José Raimundo e Maria Luiza Lancillote. Il 15 novembre 1889 il maresciallo Deodoro da Fonseca proclamò la Repubblica del Brasile. Due anni dopo, il 7 dicembre 1891, nacque il figlio Francesco Santoro, nome scelto in onore del padre di Eugenio come si usava nelle famiglie italiane. Il giorno dopo, l'8 dicembre, furono inaugurate l'Avenida Paulista e il sistema di illuminazione elettrica. La mia bisnonna si ammalè e così decisero di trasferirsi nella città di Socorro, la cui ubicazione nella Serra da Mantiqueira offriva aria salubre con conseguenti effetti benefici sulla sua salute. Il mio bisnonno cambiò la casa che possedeva a San Paolo con quella di un amico a Socorro. In Socorro era già presente una grossa comunità di immigrati italiani, che lavoravano nei campi e nelle piantagioni di caffè. Eugene continuò a svolgere la sua professione e finì per diventare un sarto molto ricercato. Il 20 settembre 1896 nacque José, che fu battezzato nella chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, patrona della città. I padrini furono Saturnino Alves Franco e Secundina Carolina Vergal. Mio nonno Benedict nacque il 21 maggio 1898 e fu battezzato nella Chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, con i padrini Manuel da Costa e Franco Erminda da Costa. I bambini avevano dei nomignoli che li accompagnarono per tutta la vita. Maria Luiza era "Nenê", Francisco "Quiquino", José "Zeca" e Benedicto "Monego". Il soprannome di mio nonno, che significa "amico mio" è un'espressione affettuosa di allora, e gli fu dato dalla sorella, la zia Nenê. Nonostante tutti i tentativi di cura, la mia bisnonna peggiorò e morì all'età di trentun'anni. Rimasto vedovo, Eugenio affrontò la sfida di crescere da solo i suoi quattro figli. Zia Nenê, che aveva solo tredici anni lo aiutò in questa missione. Amorevole e devota, sacrificò libertà e giovinezza per prendersi cura dei fratelli. Il 20 novembre 1900 Raffael, fratello di Eugenio, col figlio maggiore Francesco (Cicilo), sbarcò nel porto di Santos per lavorare assieme a Cicilo come scultore e capomastro. Maria Rosa, sua moglie, era rimasta con i figli minori Maria Luiza, Angelina, Concetta, Antonietta e Giuseppe in attesa del suo ritorno. L'11 giugno 1901, a 73 anni, Maria Luigia, madre di Eugenio, morì nella sua casa in Aspromonte. Raffael lavorò in varie città dello Stato di San Paolo e il 28 febbraio 1907, mentre lavora alla costruzione della facciata dell'antica chiesa di Nostra Signora del Monte Carmelo, a Campinas, cadde dal ponteggio e morì. Maria Rosa, che era una delle poche persone alfabetizzate dell'epoca, si manteneva leggendo e scrivendo lettere per le famiglie degli emigrati. Nel maggio del 1907, visto che da più tempo non arrivavano notizie di suo marito, vestita di nero si imbarcò con tutta la famiglia per il Brasile alla ricerca del marito e del figlio. Maria Rosa non tornò in Italia e continuò a vivere a Campinas, dove allevò i suoi figli. Incoraggiato da Saturnino, fratello di Aurora, che era dentista, zio Quiquino frequentò la Scuola di Farmacia e Odontoiatria di San Paolo, dove si laureò nel 1911. Formatori del tirocinante furono Emilio Mallet, Americo Braziliense e Viera Salgado. Al termine del tirocinio zio Quiquino andò a lavorare con Saturnino nella città di Amparo e successivamente si trasferì nella città di Campinas. Zio Zeca frequentò la Scuola di Pharmacia e Odontoiatria del San Paolo e l'Accademia di Belle Arti. Andò ad abitare a Campinas, dove lavorò come professore di disegno presso la Normale Carlos Gomes e al liceo scientifico di quella città. La pittura e il disegno furono la sua grande passione (vedi autoritratto a lato). Nel 1924 mio nonno Benedicto si laureò presso la Facoltà di Farmacia e Odontoiatria di Pindamonhangaba, e andò a svolgere la sua professione nella città di Socorro, dove risiedette con il padre e la sorella. Il 4 dicembre 1934, a 69 anni, mio nonno Eugenio ebbe un arresto cardiaco e morì nella sua residenza. Quel senso iniziale di angoscia che aveva guidato la mia ricerca finì per trasformarsi, ad ogni nuova scoperta, in orgoglio e ammirazione per il suo coraggio, la sua forza e la dignità dimostrata nell'affrontare gli ostacoli. Il suo esempio mi ha suscitato il desiderio di onorarlo e di esaltare la sua vita. Come disse Luiz Gonzaga da Silva Leme (Genealogia Paulistana, 1903, vol.1, pag III e IV.): "Cercate di inculcare nello spirito dei vostri figli i princìpi della morale cristiana attraverso una consapevole educazione religiosa, che è sempre stata il segreto della grandezza spirituale dei vostri avi; in seguito sforzatevi di arricchire il loro spirito con la cultura intellettuale adeguata alla loro predisposizione, ponete dinanzi a loro i volti sacri dei loro avi perché siano esempi e modelli da imitare e avrete sicuramente dei discendenti che renderanno nobile la vostra famiglia."
Dopo questo breve resoconto sul percorso di vita di mio bisnonno Eugenio, non mi
resta che testimoniare il mio sincero ringraziamento, unitamente ai sentimenti di
ammirazione e apprezzamento alle seguenti persone:
Grazie a queste persone così premurose ed estremamente collaborative, mi sento felice e soddisfatta di poter dedicare a mio padre e alla famiglia Santoro questo concreto dono di valore sentimentale che mi auguro possa essere apprezzato dalle generazioni successive.
Cris Reiland Santoro
(Traduzione di Paolo Chiaselotti) |