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Sutt'a lingua : Curiosità e approfondimenti.


CORBELLERIE SAMMARCHESI: 'U CUOFICIU.

In altre due puntate sono stati esaminati due motti sammarchesi che hanno tratto origine dal lavoro di altrettante categorie di artigiani: i ferrai e i vasai. Ora è il turno dei cestai.

Permettetemi, prima, una riflessione su vocaboli, locuzioni, motti e via dicendo, che traggono la loro origine dal mondo del lavoro.
Oggi in un mondo globalizzato la maggior parte delle nuove parole provengono dal settore informatico, e sono tutte in lingua inglese, un tempo invece le unità territoriali comunali, spesso molto piccole, fatte di usi, norme e parlate locali, erano chiamate "università". Nei primi registri anagrafici risalenti agli inizi dell'Ottocento troviamo la dicitura "Università di San Marco". Quella era la globalità di allora.

Non vorrei aver fatto quello che un tempo a San Marco si chiamava cùoficiu, dicendo una corbelleria, nè mi andrebbe di aver rotto le scatole a qualcuno con queste divagazioni.

Vi dico subito, allora, che siamo già entrati nell'argomento, perchè il paragrafo immediatamente soprastante, con le parole cùoficiu, corbelleria e scatole, è l'introduzione all'indagine di oggi sui nostri modi di dire.

È mia abitudine, nello spiegare qualcosa, di andare a ritroso nel tempo, partendo dall'oggi, e anche di usare le cosiddette "mali parole" per attirarre l'attenzione delle persone.

" Mo' chissu ha rutt'i cugliùni! " mi dirà qualcuno, senza sapere che anche lui ha detto qualcosa pienamente attinente all'argomento legato ai cestai, perché dal semplice sacchetto della spesa di oggi fino alla borsa delle contrattazioni finanziarie e, per rispondere all'impaziente lettore, finanche all'oggetto della sua rottura, quanto finora detto entra a far parte della storia, nello specifico la storia dei contenitori, ai quali, più che ai contenuti, l'umanità ha sempre prestato grandissima attenzione fin dalla preistoria.

Chi, per primo, ebbe l'idea di creare un recipiente, non avrebbe mai immaginato quanto la sua invenzione sarebbe stata copiata, elaborata e diffusa, dando origine non solo a migliaia di contenitori diversi, bensí anche a definizioni che tenevano conto dei materiali usati, dell'uso a cui erano destinati, del paragone con analoghe forme tratte dal mondo animale e vegetale. Per non parlare poi dell'importanza sociale che le categorie dei lavoratori addetti alla produzione assunsero, specializzandosi via via nella produzione dei diversi contenitori: calderai, vasai, cestai, cassettai ecc., ovvero quadaràri, gummulàri, cistàri, cascittàri ecc.

Ad essere precisi anche il significato della parola di cui oggi mi occupo è abbastanza oscuro. Infatti con riferimento al motto " 'Chi cùoficiu c'ha fattu! ", tra le tante persone da me intervistate, solo una mi ha ricordato che quella parola era usata anche in un altro motto: " Nu cùoficiu chin' 'i sordi ", un recipiente pieno di soldi.
Forse perchè l'esistenza di un altro motto, molto simile al predetto e molto più usato, Cùofanu 'i dinari, un sacco di soldi, ha accostato i due termini cùoficiu e cùofanu in unico significato. Però ...

'Da quadàra alla quadarèddra, 'da pignata alli pignatìeddri, 'da cirma allu cirmiddrùzzu, 'da sporta allu spurtùnu, 'da cascia allu casciùnu, 'da ... potrei continuare citando centinaia di termini dialettali, ahimé non ho mai trovato, da nessuna parte, u cùoficiu che ci interessa, bensì solo un vago ricordo dell'esistenza di un contenitore con questo nome nel motto anzidetto.

E come se non bastasse a ricordare il nome di questo misterioso contenitore sono rimasti davvero in pochi, e per giunta non tutti concordi sull'esatta morfologia della radice della parola: alcuni dicono cùficiu, altri cùofficiu e altri ancora crùofficiu. Alla domanda di che cosa fosse u cuoficiu la risposta è quasi sempre na marrunata, un errore madornale.
E in merito all'equiparazione al cesto, anche l'unica persona che mi aveva suggerito l'idea del contenitore, non sapeva dire che foggia avesse né di quale materiale fosse fatto.

A me l'accostamento di u cuoficiu a u cofanu suona abbastanza bene, per cui ritengo che la voce sia pienamente riferibile ad un cesto e anche se non mi risulta che ci fosse una tradizione di artigiani a San Marco, quanto piuttosto una conoscenza diffusa della tecnica di fabbricazione tra i contadini, mi piace immaginare che questa volta a far la parte del leone e la voce grossa nel campo linguistico, dopo pignatàri e 'mpucatùri 'i poste, siano i cistàri, coloro che fabbricavano ceste, canestre e simili.
In piena sintonia con i cestai toscani, che a suo tempo, accostarono le loro corbe e i loro corbelli a ricchezza e sciocchezza, inventandosi le corbellerie.
Non so se i nostri cùofici potessero essere paragonati ai corbelli toscani, che facevano il verso ai più classici corbis latini, anch'essi usati per indicare volgarmente quelle parti intime che anche i cestai possedevano e alla cui preziosa integrità erano particolarmente attenti.
Per quanto ne sappia non ho mai sentito, durante i miei ottanta e passa anni, che qualcuno a San Marco si fosse rotto o gli avessero rotto i cùofici, ma forse in passato il cestaio sammarchese aveva, quanto meno, chiù pacienzia del collega toscano.

E mo' siamo al nodo centrale della questione: da dove spunta 'sto cuòficio, cuòfficio, cruòfficio o più semplicemente cùficio, per dirla all'italiana?

Sono andato alla ricerca di qualche termine nel dialetto calabrese che si accostasse a quello dell'antica parlata nella nostra 'università' e ho trovato i seguenti termini con significato di cesta: còfanu, còfinu, cùofinu. Le tre definizioni si equivalgono e, oltre alla definizione generica di cesta, i dizionari dialettali di Luigi De Accattatis e quello etimologico di Gian Battista Marzano aggiungono le seguenti equivalenze in lingua italiana: bugna, corba, corbello, cofano. Quest'ultima voce, che la gran parte di noi conosce come parte dell'automobile *, deriva dal latino cophinus, anch'esso con significato di cesta. A Napoli cufunatùru è chiamato il grande cesto della biancheria.

Il problema è (tranquilli, non ci sono problemi* ) il seguente: perchè nella nostra comunità, o università per dirla all'antica maniera, fosse stato adottato il nome cuficio (e varianti) al posto di cofino, cufino, oppure, se vi suona meglio, cùoficiu al posto di cuofinu. La differenza fra le due differenti versioni, la nostra e quella dei dizionari dialettali, risiede nel finale in inu riportata dai libri, molto più vicino all'etimo latino, rispetto alla nostra variante che ricorda, invece, voci del tipo ufficio, artificio, sacrificio, salumificio, panificio, borsificio ecc., tutte legate al fare.

A me viene il sospetto, proprio dal motto che si è conservato ad imperitura memoria, che la voce nostrana sia frutto di un dileggio verso chi aveva realizzato un cofanu, forse per inesperienza o per errore, talmente malfatto da definirlo non un cofano un cofanaccio!
Potrebbe essere stato il mastro di fronte all'opera maldestra del discepolo ad aver coniato la parola cùoficiu, o un cestaio più abile rispetto ad un suo concorrente. Oppure -chi te lo dice- il vocabolo potrebbe essere stato coniato a seguito di un rovinoso sfondamento du siettu du cuofinu, del fondo del cesto, con la perdita di tutto il materiale trasportato.
In quest'ultimo caso, immedesimandomi nel protagonista del tempo, anch'io avrei detto:   Minchia, 'chi cùoficiu !! e ancora di più oggi, se qualcuno scoprisse che la parola a cui ho dedicato un'intera pagina ha tutt'altra origine e significato !


Paolo Chiaselotti


San Marco Argentano, 20 agosto 2022

* Tra i vari significati di cofano non ho volutamente inserito la cassa da morto, per evitare di distrarre il lettore.
   In alto un "corbello" tratto dal sito "https://www.leviedelbrigante.it/"