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Questa pagina fa parte del sito "L'Ottocento dietro l'angolo"  (www.sanmarcoargentano.it/ottocento/index.htm) di Paolo Chiaselotti

DALLA CRONISTORIA DI SAN MARCO ARGENTANO
DI SALVATORE CRISTOFARO

PARTE II - CAPITOLO VIII

Vescovi di San Marco Argentano dal 1797 al 1896

Reginaldo Coppola di Altomonte 1797 - 1810
Dell'ordine dei Domenicani, P. Maestro e Provinciale più volte del suo istituto religioso, nel 21 dicembre 1797 fu creato vescovo della Sede sanmarchese dal Pontefice Pio VI, e nel suo nativo paese nella casa de' suoi, circa ottuagenario, nel 7 febbraio del 1810, cedette al comune fato dei mortali, e consumato negli anni, diede l'anima a Dio, e fu sepolto in Altomonte stesso dove riposa in pace. La Platea del Pintibona impiega una sola parola a dipingere il carattere di cotesto Prelato. Episcopus lenis. Invero fu placido di natura, pacato d'animo, e avente la ingenuità di un fanciullo; ignatro dei tempi procellosi, che gli fremevano attorno, come raffiche di vento, ora soverchiato dalle indebite esigenze degl'inframmittenti, ora ristretto a cure e ad affetti per la propria famiglia; onde il Petta lo appella meno del gregge a lui affidato diligente cultore che de' suoi. Permise con iattura del proprio decoro che l'episcopio fosse addivenuto casa non pure di fratelli, ma di cognata e di nipoti d'ambo i sessi. Nè senza inconvenienza e disgusto vedevansi sventolare dai balconi dell'episcopio le fasce che servivano pei propri nipotini, sebbene intemerata ne fosse rimasta la fama dei suoi costumi.
 
Pasquale Mazzei da Fuscaldo 1819 - 1823
Vicario G.le dell'Archidiocesi di Cosenza, e Dottore U.I.*, dopo la vedovanza della chiesa per anni nove in circa, nel 29 settembre 1819 fu elevato all'onore dell'infule sacre pel seggio di questa città e nella stessa patria, dov'ebbe i natali, passò da questa mortal vita all'eterna nel 15 febbraio 1823. Fu il primo vescovo nelle due diocesi unite di S,Marco e Bisignano. Debole di mente, credeva alla jettatura, onde tenendo tra mano la croce soleva dire un curioso esorcismo, quando si credesse esserne stato obbietto. Verso gli ultimi tempi del suo episcopato parve leso dell'intelletto, onde le due Diocesi sì per la brevità dei suoi giorni e sì per la infermità della mente, rimasero nel lutto, nè potettero vedere attuate le buone intenzioni di lui e le speranze concepite fin dal suo primo ingresso in diocesi.
* U.I.= utroque iure, in entrambi i diritti, civile e canonico
 
Felice Greco da Catanzaro 1824 - 1840
Decano della Cattedrale e Vicario Capitolare della diocesi catanzarese, fu preconizzato e consacrato vescovo nel dì 9 marzo del 1824, e l'anima sua affettuosa e gentile volò al bacio del Signore nel 22 febbraio del 1840, lasciando di se compianto e duratura memoria delle sue virtù. Egli ottenne la insegna della Cappamagna nel 1837, come dalla concessione sistente in Archivio. Migliorò le condizioni finanziarie della Mensa, facendo piantare lunghi filari di gelsi nel fondo detto Fabbrica. Rifece e decorò gli episcopii di S. Marco e Bisignano. Alla cattedrale bisignanese volle che un nobile frontespizio, cui oramai il tremuoto abbattè, adornasse la facciata. A quella di S.Marco aggiunse le volte delle due ali laterali, rimaste incomplete nel restauro di M.r Brescia. Al palazzo di S.Marco fè cangiare la entrata corrispondente dapprima alla gran sala, nelle cui pareti erano prima gli stemmi dal primo vescovo conosciuto fino a noi come si è detto innanzi. Se ne fecero dipingere pochi nella saletta di entrata, ai quali fu fatta una sottrazione dal Vescovo Parladore. Mi perdoni il lettore se do il nome di barbarie a tanta smania di far sparire i documenti antichi. Quei pochi si sarebbero anche cancellati sotto il pennello degl'imbianchini, se la mia povera voce non avesse trovato mercè presso quel vescovo, che mi aveva in grande amoro. Monsignor Greco anticipò la somma per la costruzione del tempio del Santuario di Maria SS. del pettoruto, e, a dirr vero, non so che ne riscuotesse. Il Santuario era di regio patronato, come dirò in apposito opuscolo, e annualmente nel tempo della festa di settembre andava un amministratore con qualche prete, oltre i Delegati del vescovo, onde la divozione, che divoti e fervidi Eremiti avevano accresciuto e propagato, si era sufficientemente raffreddata. Mons. Greco comandò al Re Ferdinando II la trasformazione della natura del Santuario, e secondo il progetto del Vescovo, con Decreto del 2 ottobre del 1834 ottenne la rinuncia del diritto di patronato e la istituzione di sei cappellanie. Il Parroco, il Presidente, tre Cappellani di nomina regia, tre di nomina del vescovo, e tutti sotto la dipendenza del Vescovo, sotto la cui giurisdizione era soggetta la chiesa. Ora nel nuovo ordine di cose, soppresse le cappellanie, il decreto del 1834 non ha più vigore, e il santuario rimase sotto di quella. Il Municipio ha creduto poter subbentrare alla sciolta communità, ma per ragione di legge ha dovuto cedere all'autorità ecclesiastica. Sotto gli auspici di questo Prelato nel 1837, promossa dal Brigadiere in ritiro Luigi Valentoni, istallossi la Congregazione di M. SS. Addolorata, rifugio, secondo la espressione scritturale, dove fin da quel tempo il popolo fedele non cessò mai trovar pace e tregua al dolore.
Quello che poi onora Monsignor Greco è: questo: volle che quattro tra i migliori alunni del Seminario, a scopo di perfezionare gli studii, si fossero recati in Napoli, per poi poter fare da insegnanti; due di essi mantenuti a sue spese, studiarono filosofia presso quella gloria clabrese, quale fu Pasquale Galluppi, cattedratico nell'Università napoletana, e matematica presso Faggini, traduttore di Euclide; e altri due, mantenuti di proprio, studiarono Teologia dommatica. Per pietà e religione preclarissimo il Greco amministrò la chiesa a lui affidata rettamente. Caritatevole coi poveri, manteneva con l'elemosine famiglie intere. Anima bella e soave, lasciò di se memoria di gentilezza, di virtù e di beneficenza. Nel giorno di sua morte il Seminario gli fece una grande Accademia; si dissero varie poesie italiane e latine; fra l'altre ricordo il sonetto di un mio fratello germano Francesco, che se immaturamente non fosse trapassato, avrebbe con l'opere dell'ingegno onorato la patria.
 
Mariano Marsico di Latronico 1842 - 1846
Ecco un'altra bella figura, su cui m'è dolce arrestare le ali del pensiero, e contemplare l'attraente spettacolo di una grande virtù, dinanzi al quale lo spirito si riconforta come d'avanti ad un desiderato e gradito ideale. Essendo Parroco del suo piccolo loco nativo, fu assunto al vescovato di questa gloriosa sede sanmarchese da Gregorio XVI nel 24 luglio 1842, e, contratto in mezzo alle apostoliche fatiche morbo cardiaco, soggiacque, e la bell'anima, di cui il mondo non era degno, salì all'amplesso del Signore, nel 14 ottobre del 1846. Me giovinetto egli aveva in grande amore: onde nella notte di sua morte, ahi! giovami ricordarlo, io in un angolo della galleria dell'episcopio, al poco lume, che veniva da una stanza vicina, ebbi a sostenere la salma tra le braccia, sopra quella stessa poltrona su cui era spirato, poichè il potere giudiziario nelle altre stanze procedeva ad inventariare il suo povero corredo. La più volte citata Platea della nostra cattedrale così contrassegna il Marsico: Episcopus effusae caritatis erga Christi pauperes. Umile, prudente, forte e paziente, vinceva tutti i cuori con l'affabilità, con la discretezza e col vivere modesto. Accessibile a tutti, ognuno ancorchè tapino e cencioso, in lui trovava il protettore. La collera era un affetto a lui ignoto; retto e zelante, avea nella parola l'unzione evangelica e chi leggesse la Lettera pastorale, l'Editto e il Testamento, cui Pagano chiama tre preziosi documenti, e le lettere scritte per le diverse occasioni, avrebbe una bastevole testimonianza dell'anima santa del Marsico, nè potrebbe tenere gli occhi asciutti alla lettura del testamento, ove le due Chiese e i poveri sono dichiarati suoi eredi. Egli fu veramente il buon Pastore, che dà l'anima per le sue pecorelle.
Il suo primo intento fu quello di fare un sacerdozio santo e dotto: i sacerdoti insipienti, diceva, sono come gli aponi, non che non fare il mele, mangiano quello delle pecchie. Perciò aperse un Seminario, dove per aver chiamato a rettore ed a maestri uomini chiari per scienza e lettere, si numerarono 85 convittori, più laici che chierici. I cleri delle due diocesi erano un po' depressi, poichè uomini illustri per studi e per integrità di vita, che promossi, avrebbero potuto rendere utili servigii alla Chiesa, si erano fatti marcire in una indegna obblivione. E il nostro Apostolo non faceva un mistero che per rialzare il clero era mestieri promuovere. La morte precoce arrestò i suoi generosi propositi. La sua parola, allorquando predicava, era semplice, essendo ignoto alui l'artificio retorico e la conoscenza di lettere. A sè d'intorno parea che ei spandesse come un profumo, come un'aura di santità e dia pace soave; onde la sua parola penetrava e convertiva gli animi.
Egli conosceva la scienza vera, la scienza di G[esù] C[risto] e dei Santi, e la grazia non era vuota nelle sue mani, e quindi in men di quattro anni la faccia della diocesi era di già cangiata, e i giovani leviti rinfrancati per concepite speranze. I giovani, che davano buone speranze di sè erano in tanto amore presso di lui, che non era sacrificio che per essi non gli fosse gradito. Ah ! anima santa e forte, se tu fossi vissuto, io non sarei andato sempre fuggendo di gente in gente, perchè sarei stato trattenuto dal tuo amore, nè avrei avuto bisogno di riparazioni di giustizia, attese invano, nè gli anni miei già volti al tramonto, mi sarebbero contristati da indebite ingiustificabili posizioni oltraggiose!
Devoto dei nostri Martiri concittadini, che in Calabria furono le primizie dell'apostolato di Marco evangelista, si adoperò ad ottenerne le reliquie dal Vescovo Monsignor Michele De Gattis, che soddisfò lo zelo e la pietà del Prelato con lettera del 2 dicembre 1844, e con l'autentica ricognizione del vescovo De Laurentiis nel 1589 (1689), che avvenuta di quei martiri l'invenzione in Venosa, ne ordinò il culto alla venerazione dei fedeli.
Nei pochi anni che Marsico fu vescovo, può dirsi aver fatto assai in breve tempo: explevit multa in tempore brevi. La prima volta che la riverenza alle somme chiavi chiamollo in Roma ad sacra limina Apostolorum, ritornando, riportò un magnifico calice in argento da servire pei pontificali, due vasi d'argento per gli olii santi, una pianeta di lama bianca, la quale anzicè infiorata dee dirsi vestita tutta di argento, e un terno di lama rossa con galloni di argento; la balaustra di ferro che chiude il Sancta Sanctorum ed altre cose di minor conto, che servono alla pompa ed alla maestà del divin culto.
La modestia di tanto inclito Prelato si sarebbe adontata di questo tributo di veridiche lodi, perchè l'avrebbe ritenuto come piacenteria; ma chi potrebbe tacere le preclare cose ch'egli fece a favore dei poverelli essendo chiare e note, come la luce del sole; senza tenere come sospetto ed ingeneroso il silenzio? Povere le sue vesti, frugalissima la sua mensa, poichà dava tutto ai poveri con mano sciolta; quando avesse più di un calzone o di una camicia, l'Economo mensale non ne trovava perchè il Vescovo potesse cambiare di abiti. Sovente ei rimaneva a secco di denaro, e il detto Economo di sovente ingannava la semplicità di lui con dire esausti i suoi tiretti poichè dava tutto. Comparava balle di tela e di panno-lana (vulgo frandina) per vestire i nudi poverelli, e guai a quel servo che rimandasse un poverello senza averlo avvertito. Era lieto di evangelizzare i poveri, memore di quel Paolo ai Corinti: Vae enim mihi est, si non evangelizavero; e faceva il catechismo ai poveri; e voleva che in sua presenza noi piccoli chierici lo spiegassimo ai fanciulli, e chi dicesse bene era certo di premio.
Nella carestia del 1844, anno terribile si per le vicende dello Stato, come per lo ammanco del ricolto, e quindi la desolazione dei popoli, egli diè tutto il suo grano, circa seicento tomoli, tutto il granone ed altre cose, e non gli era rimasto altro che un riposto giornaliero di dodici posate di argento e la croce che gli serviva nei pontificali. «Noi mangeremo, disse, con posate di ferro, e ci basterà la croce di rame dorato» e mandò cotesti oggetti in pegno presso un gentiluomo di S. Marco, ch'era in fama di benefico, per certa somma corrispondente, Cesare Valentoni. Questi emulando la carità del vescovo, gli rimandò oggetti con la somma richiesta, e volle non si parlasse di restituzione. Ad una donna che gli fè richiesta di un paglericcio, non potendo per allora darle nulla, le fè dare quello del letto d'uno de' suoi servi. Tornato il servo, cominciò a piangere, poichè dentro la paglia di quello era il gruzzoletto di tutti i suoi risparmi; Monsignore acchetollo, e in appresso ne lo ricompensò
Se la presente biografia va oltre i limiti prescritti, vale a dire che non ho saputo resistere all'affetto, che, dopo tanto tempo che vi corse sopra e tanta fortuna, che travagliò la mia povera vita, nutro ancora nella memoria di quella anima santa! Anima santa ora che in cielo discerni il mistero di quelle angustie, onde quaggiù pur fosti tribolato, precare pro me!
 
Livio Parladore di Orsogna 1849 - 1888
Canonico della cattedrale di Chieti e rettore di quel seminario fu eletto da Pio IX vescovo della chiesa sanmarchese nel 18 novembre del 1849, e cessò di vivere nella sua patria nativa nel 19 settembre 1888, dove si era ritirato fin dal 7 marzo 1880. A nessuno concedette mai le chiavi del suo cuore, «potete esser certi, soleva dire, che il vostro vescovo son io!» e per questa ragione non volle mai altro che il ProVicario. Io che ne ricevetti le sacre Ordinazioni, e che poi gli stetti vicino come segretario, potei apprezzare tutti i suoi meriti, e non esito a dire ch'egli possedeva tutte le qualità per essere un gran vescovo.
Egli appartiene alla serie di quegl'illustri vescovi, che tra noi sono in gran fama: Zenone, Landriano, Martirano e Sirleto. Egli dava con prodigalità, e di prodigo sono le splendide opere del suo episcopato; longanime e prudente sapeva compatire e correggere i trasgressori senza farli arrossire.
Al sapere aggiungeva la bellezza del latino idioma (1), e quando l'episcopato tutto fè voti al sommo gerarca per la definizione della domma dell'Immacolato Concepimento, Parladore mandò il suo voto espresso in una memoria latina, che ha grandi pregi. Latinamente in seno all'Assemblea del Concilio Vaticano, invitò i padri a concordia; e nello stesso Concilio novamente in occasione della infallibilità pontificia, dopo la dissidenza del vescovo francese Dupaluo parlò, ascoltato ed ammirato. Dettò bellissimi indirizzi al Pontefice in occasione di onomastici, giubilei ed altro, e dettò versi italiani non privi di correttezza ed altri pregi. Sebbene al Seminario non venisse, se non poche volte all'anno, pure le sue cure per lo stabilimento erano assidue, diligenti e solerti. Per volere di lui s'istituì il mese mariano, che fin da quel tempo continua oggi a praticarsi con divozione.
Monsignor Parladore ristaurò la cattedrale e l'episcopio; i pilatri furono rivestiti di stucchi lucidi, e i capitelli di essi indorati. Il Cappellone del SS. Sacramento e la Cappella di S. Nicola, oltre gli altari di marmo furono anch'essi abbelliti di dorature e di stucchi lucidi. Arricchì di preziosi arredi la chiesa: di un magnifico pallio di lama d'oro a sei aste con frange ed ornamenti d'argento; di un ombrello anche di lama d'oro; di un baldacchino d'argento da star sull'altare, da cinque lampade di argento e di sedici candelieri, anche di argento (2), oltre le ninfe e i candelabri di cristallo. Un'ombra sola eclissa lo splendore del suo episcopato, quello di non aver provveduto i beneficii a tempo opportuno, onde se ne perderono i migliori a danno del Capitolo, per non aver voluto precedere la legge della soppressione per inesplicabili motivi.
La pagina più bella poi dell'episcopato di Parladore è l'assistenza (3) e gli aiuti ai colerosi nel 1855. Egli trovavasi fuori residenza, ed appena seppe della colerica invasione vvenuta nel 21 novembre dell'anno stesso (4) si trasferì in S. Marco, ed emulò in quella circostanza la virtù del Borromeo. Per tutto il tempo che quella lue, a guisa della pallida donna dell'Apocalissi, tirata da quattro cavalli, passeggiando pei tugurii, per le ville, pei superbi palagi, sparse la morte e il lutto per la città; ogni giorno sotto una pioggia torrenziale visitava gli ammalati di quel morbo, onde io ed altri sacerdoti in sull'esempio di lui soccorrevano gl'infermi di conforti religiosi, ed egli dava denari e consigli, rianimava, e i suoi passi erano benedetti, e nel popolo era in grande amore, ed in grande estimazione. Amato riamava, offeso perdonava; non curato obliava (5).
 
Stanislao Maria De Luca 1884 - 1895
Arcidiacono della Collegiata del suo paese fu da Leone XIII, come coadiutore del vescovo Parladore, dietro il trasloco del vescovo Pistocchi in Cassano al Ionio, eletto a questa sede sanmarchese nel 30 marzo del 1844. Morto il Coadiuto Parladore, rimase vescovo titolare fino al 1895, tempo in cui fu traslato in San Severo; e nel 7 gennaio dello stesso anno nella patria nativa fu chiamato da Dio all'amplesso della pace.
Di Monsignor De Luca non è alcun ricordo in chiesa; ma però non fu indietro a nessuno nelle sue opere spirituali. Consacrò qui S. Marco un altare di marmo nella Congrega di Maria SS. Addolorata, ed un'altra dedicata a S.Giuseppe da un devoto della cattedrale. In omaggio di S. Santità per il giubileo istituì La Congregazione Leone XIII di Missionari Oblati, figli del SS. Rosario, preceduta da un'accademia di eloquenza sacra eretta nella cattedrale sin dal 15 gennaio di quell'anno dando a me l'immeritato onore della presidenza. Bella e grande idea, poiché nelle riunioni in giorni fissati di tutte le due Diocesi si sarebbero letti discorsi, di che il presidente avrebbe dovuto dare i temi, e casi morali dati dallo stesso. Ma questa idea, come l'accademia di Pistocchi non ebbe effetto, perché la idea non si è saputa incarnare nel fatto, o perché la traslocazione dei due vescovi in altra diocesi ha impedito la esecuzione di sì belli disegni.
Il De Luca fu vescovo di rette intenzioni, di timorata coscienza, per dottrina e pietà prestantissimo; esimio oratore, operoso e costante, ma poco esperto nella reggenza della chiesa, come sogliono essere tutti gli uomini di preghiera, come lui, che nella bontà dell'animo loro, sono ignari d'uomini, di tempi e di cose. Zelante per la conversione delle anime, volle spargere il seme della parola evangelica là dove neanco di visitazione s'era fatto degno.
Dopo la morte di de Luca, mentre che la chiesa era retta da un Amministratore Apostolico, dall'Arcivescovo di Cosenza, Camillo Sorgente fu eletto vescovo di questa sede Sanmarchese il parroco di Catanzaro Rugiero Catizone, che, fattone rifiuto, rimase a Catanzaro stesso, indi fu eletto Vincenzo naria Pugliesi di Cerignola, che alla sua volta non avendo potuto ottenere l'Exequatur, fu mandato vescovo ad Ugento. Ond'è che nè il Catizzone, nè il Pugliesi, sebbene eletti per la nostra cattedra, fanno parte dei vescovi che sedettero sovr'essa. Non voglio omettere che il De Luca fu pregato dall'Arcivescovo di Rossano recarsi ad amministrare la Cresima in Corigliano, dove venne da me accompagnato. Titolo di lode per lui!
 
Vincenzo Ricotta da Foggia 1896 - [1909]
Era Parroco della chiesa di S.Giovanni Battista in Foggia, e dal Pontefice Leone XIII nel 12 giugno 1896 fu nominato vescovo della cattedrale sanmarchese, e consacrato nel 5 luglio dello stesso anno, felicemente alla reggenza della chiesa affidatagli inteso. Il giornale «Corriere di Foggia» così salutava l'assunzione di lui all'Episcopato: «A questo tipo perfetto di Sacerdote di Cristo, che nella sua vita hamostrato sempre d'aver compreso la sua santa missione caritativa del vero prete, esplicandola sempre in favore dei poveri e degli afflitti, mandiamo le nostre sincere congratulazioni per la sua ascensione, e augurando alle popolazioni della Diocesi, a cui è preposto, tutto il bene possibile, che il giovane e pio nuovo Prelato è capace di fare» (6). Io qui mi fermo, giacché ogni laude, che aggiungessi a me ed alla sua modestia parrebbe piacenteria; se non che ripeto gli augurii stessi, sprando di potere avere lunga vita per encomiare quel che si accinge a fare (7). Grandi e solenni le feste, che si fecero nel suo ingresso in diocesi, ma più grandi le speranze dell'opre sue future!
 

(1)  Il tesor del sapere è il grave stile,
           onde risplende la maestà latina.
Versi di S.Cristofaro

(2)  Cathedrale hoc templum saeculo proxume peracto iam per pium et munificum Episcopum Nicolaus Brescia, semel atque iterum Livius Parladore Episcopus refecit, epistylia inauravit, stelas nitido coeperunt marmorato parietes, et absidem espolivit, altaria novis omnino supellectilibus, candelabris, lycnisque argenteis et crystallinis aliisque ornamentia locupletavit.

(3)  Allor che muti e scolorati il volto
           L'indica lue vedemmo entrar le porte
           Del popol, tutto da spavento colto,
           Ei dispezzando i rischi della morte
           Gli egri ogni dì rinfranca, e largamente
           Vien che di aita e amor tutti conforte.
Tristia - Versi di S.Cristofaro

(4) Dal 21 novembre all'8 dicembre

(5)  I trsti gli proffersero sovente
           Nappi di amaro a conito, ma intanto
           Sempre inchina al perdono ebbe la mente.
           La colpe altrui col suo paterno manto
           Copria, ma sugl'ingrati egli soventi
           volte solea versar stille di pianto.
           Onde a me disse un dì con mesti accenti;
           Se mi tu favellar di me dovrai,
           Di' per me questo, di mia morte il giorno:
           «Alcun di suo voler non lese mai!»
Tristia - Versi di S.Cristofaro

(6)  Corriere di Foggia, Anno II, N.56, 14 giugno 1896.

(7)  O mihi tam longae maneat pars ultima vitae
           Spiritus, et quantum sat erit tua dicere facta!
Virgilio Eclo. IV v. 50 e 60

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A cura di Paolo Chiaselotti