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UN COMPLICE INSOSPETTABILE
Salii al piano superiore per sapere se il sindaco fosse a conoscenza di arrivi di
stranieri.
Il primo cittadino era nella sua stanza e mi accolse con la consueta cortesia. Il
fatto che fossimo su posizioni politiche diverse in seno al consiglio non impediva
che ci rispettassimo reciprocamente.
Cercai di scoprire se sapesse qualcosa, iniziando a parlare delle mie ricerche storiche
sull'Ottocento a San Marco. Gli dissi delle numerose e-mail che mi arrivavano ...
"Anche a noi arrivano molti messaggi di discendenti di sammarchesi dal Brasile,
dall'Argentina ..." disse interrompendomi bruscamente.
Non accennò al fatto che il merito di aver trascritto migliaia di nomi e
di notizie dell'archivio storico del comune, trasferendoli su supporto elettronico
e su Internet, era mio. Poi mi ricordai che mi ero offerto di svolgere questo lavoro
volontariamente e non mi parve il caso di rinfacciarlo.
" ... e alcune volte fanno anche il suo nome e qualcuno ha chiesto anche il
suo indirizzo," aggiunse il primo cittadino, che da ragazzo era stato
mio alunno "che noi ovviamente non abbiamo dato a nessuno per rispetto della
privacy."
"Giusto" gli dissi "la privasi, e non la praivasi come dicono
tutti."
Sorrise, forse pensando che la parola inglese gli era venuta giusta solo per caso.
Anche a scuola i tempi verbali e le concordanze gli venivano giusti per caso. Sapeva
sempre cavarsela al contrario di altri che, pur conoscendo tempi e modi, non ne
azzeccavano uno.
E aggiunsi: "A proposito, lo sai che il garante della privacy discende per parte
di madre da San Marco ..."
Non mi ascoltava. Si vedeva dal sorriso e dagli occhi che il pensiero era rimasto
indietro di un passaggio o proiettato in avanti rispetto a ciò che io stavo
dicendo.
"Professore, tra alcuni giorni ci sarà la cerimonia degli Italiani all'estero
..." disse spostando lo sguardo nervosamente da me al tagliacarte con
cui stava giocherellando, "mi farebbe piacere se a riceverli ci fosse anche
lei."
Bene, aveva confermato quanto già sapevo. Dovevo capire lo scopo dell'arrivo
di tante persone: ringraziandolo per l'invito, gli chiesi il motivo di quella inaspettata
affluenza di turisti.
Mi parve in imbarazzo. Cercò di darmi qualche spiegazione, ma nessuna mi
sembrò convincente, e alla fine concluse con un: "Preferirei non dirlo
ora. È meglio domani."
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La reticenza nel rispondermi e la sua cortesia formale cominciavano a darmi sui
nervi: ero pur sempre un capogruppo di minoranza, anche se formata da un solo consigliere,
me stesso. Non mi andava che cercasse di giocare al rinvio.
Con voce ferma gli dissi: "E invece me lo dici subito, perché almeno mi preparo
..."
Stavo dicendo "a morire", ma non volli dargli questa soddisfazione.
Cercai di riflettere sulle sue origini, sulle simpatie politiche dei suoi antenati,
ma mi ricordai che il padre era nato in un comune vicino e della sua genealogia
non sapevo nulla. Non potevo sapere se anch'egli fosse legato alle faide che avevano
insanguinato il paese e continuavano a mietere vittime, alle quali anch'io sarei
appartenuto tra non molto.
Lo guardai fisso negli occhi, quasi a voler cogliere il più piccolo segnale
che avrebbe potuto tradirlo. Mi sorrise con la bocca chiusa, sollevando appena un
angolo della bocca.
Improvvisamente mi ricordai dell'avviso di Francesca: "Paolo, non farti fregare."
"Abbiamo pensato a tutto noi" concluse accompagnandomi alla porta.
"Anche ai fiori?" chiesi con un sibilo di voce.
"Anche ai fiori, professore. A tutto!" e chiuse la porta alle mie
spalle.
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