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I DUBBI
Avevo deciso di fare una denuncia circostanziata su tutto ciò che sapevo.
Conoscevo il comandante della tenenza. Avevamo scambiato in alcune occasioni qualche
parola. L'ultima volta fu alla fine di un consiglio comunale. Mi ero rivolto a lui,
presente in sala, per esprimergli in qualità di consigliere della minoranza
la mia solidarietà per uno dei tanti attentati che avvenivano e avvengono
in Calabria e di cui era rimasto vittima un giovane carabiniere.
A conclusione della seduta ci fermammo a commentare quanto era accaduto.
Ero certo che mi avrebbe ascoltato, anche se mi rendevo conto che parlargli dei
fatti avvenuti nell'Ottocento, delle loro conseguenze, delle organizzazioni malavitose
che continuavano le vendette ai nostri giorni, degli arrivi di personaggi poco raccomandabili
dal Brasile, dall'America e dalla Nuova Zelanda, e infine dell'infiltrazione mafiosa
tra i beati, avrebbe richiesto parecchi giorni.
Avrei potuto telefonargli e dirgli che volevo sporgere denuncia su una serie di
questioni, molto delicate, la cui spiegazione avrebbe richiesto un po' di tempo.
Stavo sollevando la cornetta quando il telefono squillò. Risposi convinto
per un istante che all'altro capo del telefono ci fosse il capitano.
Una voce femminile chiese di me. Le dissi che la stavo ascoltando. Mi diede subito
del tu, chiamandomi per nome e chiedendomi, con voce preoccupata, che cosa stesse
succedendo a San Marco. Non riconobbi la sua voce, di solito calda e pacata, lievemente
sensuale. In quel momento, invece, rivelava uno stato di tensione emotiva che mi
preoccupò più della domanda che mi aveva posto.
Era Francesca, dalla federazione.
Pensai a cosa voleva riferirsi: non potevo immaginare che le notizie su ciò
che mi stava accadendo fossero giunte fino a Cosenza. Avevo un vecchio legame con
il partito a livello provinciale, da quando ero comunista. Non ebbi mai incarichi
di alcun genere; solo in occasione del passaggio dalla Falce e Martello alla Quercia
mi fu affidata la missione, impossibile, di appianare i contrasti tra i compagni
di San Giovanni in Fiore.
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Siccome non ero in grado di ottenere consensi tali da minacciare le altre candidature
ero considerato unanimemente una brava persona.
Francesca mi chiese scherzosamente se fosse vero che a San Marco erano arrivati
nelle ultime settimane più italiani dall'estero rispetto ai clandestini sbarcati
nello stesso periodo sulle coste siciliane. Era evidente che stava scherzando, tuttavia
risposi che non mi risultava un così elevato numero di presenze: solo quattro
discendenti di italiani si trovavano in quel momento nel paese.
Con tono più affettuoso, ma deciso, mi informò che sarebbero arrivati
a Roma alle ore 13.25 con un volo charter proveniente da Londra almeno trenta brasiliani,
dieci argentini, due guatemaltechi, due australiani e uno statunitense. Era stato
prenotato un torpedone per portarli tutti a San Marco Argentano in provincia di
Cosenza.
Mi chiesi perché mi avesse telefonato dalla federazione e mentre cercavo
di scoprirne il motivo, Francesca mi disse, abbassando il tono della voce che divenne
flebile e confidenziale: "Paolo, non farti fregare".
La comunicazione si interruppe.
Francesca era una delle poche persone che aveva dichiarato apertamente che mi avrebbe
votato in una competizione provinciale, perché nella sua vita aveva sempre
aiutato gli ultimi! Manco a farlo apposta era tifosa dell'Inter.
Non era un buon viatico per la mia campagna elettorale, ma le rimasi sempre grato
per la sua sincera ammirazione, che garantì con una forte e sincera stretta
di mano e un sorriso che illuminò per un istante la grigia stanza di un palazzo
antico e decadente.
L'ultima frase che mi disse al telefono mi riportò immediatamente ai fatti
che vi avevo narrato agli inizi del racconto, e in particolare a mastro Domenico,
il calzolaio di fede borbonica: la parola "fregare" somigliava
sinistramente a "sfregiare".
Il ricordo delle vendette conseguenti si legò all'annuncio di quei nuovi
arrivi. Quarantacinque persone! Possibile che la rete delle complicità si
fosse estesa a tal punto?
Il coraggio che avevo dimostrato affrontando l'individuo che si era introdotto in
casa non era sufficiente per affrontare una situazione che poteva definirsi una
vera e propria spedizione punitiva.
Cominciai a riflettere e a discernere le cause dagli effetti: analizzai ciascun
delitto, ciascuna morte, le vittime, le persone che vi avevano preso parte, le complicità
dirette e indirette. Al computer, con l'aiuto di un organigramma, collocai ciascun
fatto entro forme con colori diversi, evidenziando affinità e differenze.
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