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LA SALVEZZA
Non riuscivo a spiegarmi per qualche arcano motivo il religioso morto da decenni
avesse deciso di dare una mano proprio a me che non credevo in Dio.
Improvvisamente Geppino lasciò cadere la cinghia a terra e con essa l'oggetto
del contendere e si lanciò verso la figura bianca che stava lentamente scivolando
a terra. La afferrò, imprecando, in un punto imprecisato tra il torace e
le braccia.
Ero ancora seduto a terra interrogandomi se ciò che stava avvenendo fosse
un soccorso soprannaturale o un fatto del tutto casuale, quando l'imbianchino con
una voce quasi implorante chiese aiuto:
"Per l'amor di Dio!"
Pensai che si fosse improvvisamente pentito della sua abominevole azione, ma ciò
che mi disse subito dopo mi lascò perplesso sul suo ravvedimento.
"Professo', passatemi chiru cazzu 'i lignu!"
Il tono della voce, che non ammetteva repliche, era di impazienza e di comando,
ma non aveva un'inflessione cattiva.
Raccolsi il grosso chiodo di legno e la cinghia che lo avvolgeva.
Geppino sollevò lentamente il cadavere ad un'altezza maggiore di quella originaria
fin tanto che i piedi dell'estinto rimasero sollevati da terra, quindi lo riabbassò
sistemando gli omeri su due sostegni che sporgevano dal muro.
Mentre manteneva delicatamente lo scheletro in quella posizione con una mano appoggiata
sullo sterno, mi chiese di sollevare la tonaca del religioso e di infilare l'oggetto
che avevo in mano tra i femori sotto la zona pelvica.
Rimasi stupito per la sua conoscenza del corpo umano, ma mi ricordai che Geppino
aveva interessi disparati: per l'arte, per la musica, per la biologia, per ... mi
sovvenne che tra i suoi interessi c'erano anche le pratiche esoteriche!
Se quello era il motivo per cui era penetrato in quel luogo, mi chiedeva addirittura
di rendermi complice dei suoi misfatti!
Con tono nuovamente implorante, mi invitò a fare presto che l'eccellenza
gli stava sfuggendo dalle mani.
Capii solo allora che l'oggetto altro non era che un terzo sostegno, infilato nel
muro e posto sotto il bacino, per reggere con maggior sicurezza il defunto.
Lo sfilai dalla grossa fibbia e feci ciò che mi era stato chiesto, cercando
di non guardare alcuna delle parti che involontariamente suggerivano uno spettacolo
impudico e triviale.
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Solo allora Geppino parve essere rientrato nel suo abituale buon'umore. Si asciugò
la fronte, con uno straccio intriso di colore, lasciandovi un vistoso segno bianco,
poi con un sospiro disse:
"Meno male. Se s'era rotto ... aviemu finitu 'i campa'!"
Quindi mi chiese con aria divertita:
"Ma che dovevate farci con ... chiru pirùni?"
"Dovresti spiegarmi tu, semmai, che razza di porcherie combini nelle tombe!"
risposi, e poi aggiunsi subito dopo a maggior chiarimento:
"Legare quel coso con una cintura! Pensi che sia una cosa tanto spiritosa?"
Di colpo si battè una mano alla fronte. Raccolse la cintura a terra e con
essa armeggiò intorno al cadavere. Quando si scostò vidi che il piolo
di legno era stato nuovamente infilato nel cappio della fibbia e il resto della
cinta era stato passato intorno alla vita del morto.
Era troppo serio, Geppino.
Scostandosi di qualche passo osservò il cadavere nel suo insieme, da capo
a piedi, quindi mi chiese se era tutto come prima.
Era evidente che egli non c'entrava nulla in tutta la messinscena, ma che aveva
solo ripristinato lo stato in cui quel corpo senza vita era stato collocato. Da
chi? E per quale misterioso motivo?
"Geppino" gli chiesi con un filo di voce "ma la cinghia legata
al coso ... di legno ...?"
"Professo' a minchia, chira vera, s'à mangiata a pupa!"
esclamò con un tono di sufficienza, come se stesse parlando ad una persona
priva di intelletto, " ma vi prego non ne parlate con nessuno. Non avete visto
NIENTE!".
Nel pronunciare quest'ultima parola spalancò e di colpo richiuse le palpebre,
portandosi un dito sulle labbra chiuse, per farmi intendere, con l'eloquenza degli
omertosi, che della faccenda a parlarne si rischiava la vita!
Chi era la pupa? Una donna senz'altro, un'amante, una prostituta ...? Geppino sapeva
troppe cose, ma ricordando le sue ultime parole e il gesto di avvertimento pensai
che era meglio non chiedere altre spiegazioni.
Nel silenzio che seguì mi resi conto che avrei dovuto passare la notte nella
stanza sotterranea in compagnia di un imbianchino e di un cadavere, condividendo
con loro la speranza di essere prima o poi salvati.
Già, ma da chi? Pur con i dovuti distinguo, cominciavo a nutrire seri dubbi
sulla nostra salvezza.
Geppino, come se avesse letto i miei pensieri, da una delle decine di tasche della
tuta estrasse un cellulare che illuminò a giorno l'antro semibuio e spiegò
l'accaduto al suo interlocutore. Una, due, tre volte.
Dopo alcuni minuti, grazie a quel telefonino ultima generazione, Geppino e io fummo
fatti uscire dalla tomba.
L'altro rimase dov'era.
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