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L'ARCHIVIO DIOCESANO
Nella Cronistoria della città di San Marco Argentano, che vi consiglio di
leggere, non troverete nessuna delle storie che vi sto raccontando, perché
l'autore, un sacerdote, non avrebbe mai osato parlare di questa o quella perversione,
o dei delitti, dei tradimenti, delle vendette che furono commessi da suoi concittadini.
Talvolta, però, egli ne fa cenno. Ho pensato che certamente, oltre alla pubblicazione
che un suo nipote volle dare alle stampe nel 1932, da qualche parte dovevano esistere
suoi manoscritti.
Parlai con alcuni discendenti del ceppo al quale egli apparteneva, chiedendo se
avessero mai trovato appunti dello studioso o se fossero a conoscenza di chi potesse
averli. Trattandosi di persone di estrema cultura e sensibilità, per giunta
note a livello nazionale per gli incarichi che ricoprivano, non avrebbero esitato
a mettermi a conoscenza di eventuali fonti in loro possesso, e mi assicurarono di
non avere altre notizie oltre quelle già pubblicate.
Uno di loro mi suggerì di cercare nell'archivio diocesano visto che su taluni
argomenti riguardanti la Chiesa l'antenato preferì non svegliare inopportune
curiosità.
Ascoltai il suggerimento e un giorno, di buon'ora, mi recai in quell'ufficio.
Suonai. La porta si aprì e ne uscì una persona che stringeva sotto
le braccia due grandi faldoni. Non mi guardò e si diresse velocemente verso
un fuoristrada del tipo pick up con il motore acceso.
Non riuscii a vederlo in volto, ma mi colpirono le sue scarpe che sembravano tinte
con la calce e i pantaloni che lasciavano scoperte le caviglie.
Non aveva calze.
Sulla porta era rimasto un sacerdote che non conoscevo. Mi chiese che cosa volessi.
Alla mia richiesta di poter consultare alcuni fascicoli dell'archivio non mi rispose,
ma fece un lieve cenno con la testa che interpretai come un invito ad entrare.
Sentii che chiudeva la porta alla mie spalle. Nello stesso istante avvertii uno
scoppio improvviso e un dolore fortissimo dietro l'orecchio destro.
Di fronte a me c'erano le scale che portavano nella sala lettura. Fu l'ultima immagine
che riuscii a mettere a fuoco prima di precipitare in un vortice nero.
Se non vi è mai capitato di essere colpiti alla testa e di svenire, vi assicuro
che siete fortunati. È completamente diverso da come viene descritto nei
romanzi o nei film.
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Le vertigini, che vi fanno sprofondare in un baratro, vi prendono alla gola, come
se un vortice voglia infilarsi nell'esofago dopo avervi spinto di colpo in un vuoto
diverso da quello in cui vi trovate: è una sensazione che dura meno di un
decimo di secondo.
Quando riprendete conoscenza vi sembra di non avere un filo d'aria nei polmoni e
che la vostra testa cerca di uscire da uno stretto collo di bottiglia. Il vomito
peggiora tutto, ma almeno vi ricorda che siete ancora vivi.
Non voglio nemmeno riandare con il pensiero alle sensazioni che ancora oggi mi fanno
star male.
Il prete che mi aveva aperto la porta mi aveva sollevato da terra mettendomi seduto
e, assieme ad un altro, che non conoscevo, mi teneva qualcosa di freddo dietro l'orecchio.
Si scusavano con me per quanto era accaduto, ed entrambi assieme alle scuse dicevano
qualche litania. Credo che dissi qualcosa di molto volgare, perché lasciarono
un attimo la mia testa e si fecero il segno della croce.
Svenni di nuovo e mi svegliai a casa.
Di fronte a me c'era mia moglie. Con il brasiliano.
Immagino che questo accostamento vi fa pensar male di mia moglie. Anch'io aprendo
gli occhi temetti di essere stato tradito, ma in modo diverso da quello a cui voi
avete maliziosamente pensato.
Certamente dovetti dire altre cose spiacevoli, perché mia moglie fece uscire
dalla stanza l'ospite indesiderato e cercò di calmarmi appoggiandomi una
mano sulla fronte.
Non sarei voluto entrare nei particolari, ma solo raccontarvi il seguito della storia.
Mia moglie mi spiegò che un sacerdote, con un faldone d'archivio in mano,
mi era finito addosso cadendo dalla scaletta di cui si era servito per raggiungere
lo scaffale più alto dell'archivio.
Le avevano raccomandato anche di farmi fare una tac perché avevo detto cose
senza senso e anche parole irripetibili sui loro defunti.
In quanto al brasiliano, mi disse semplicemente che mi avrebbe spiegato in seguito
come stavano le cose. Che adesso non era proprio il caso.
Aggiunse solo che era stato molto gentile: le aveva portato un fascio di rose rosse.
Quindi mi portò una camomilla calda che versai, appena chiuse la porta, nel
vaso in cui avevo urinato.
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