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IL "BARRILARO" DI CONFLENTI
La paura paralizza il corpo ma fa strani effetti alla mente. Mette in corto circuito
i neuroni che danno origine ai singoli pensieri, cosicché in pochissime frazioni
di secondo si accavallano decine di essi.
È come prendere cortisone a dosi elevate.
Mi capitò di doverne assumere parecchio per sopperire ad una improvvisa carenza
di piastrine. Mi ero ritrovato coperto di petecchie e guardato con sospetto dalle
persone che, tenendosi a debita distanza, mi chiedevano come stavo e, poi, senza
attendere risposta, mi invitavano ad avere speranza. Camminavo, irrazionalmente,
con una mano in tasca per far fronte all'imponderabile, mentre, invece, la mente
era diventata uno strumento razionalmente prodigioso. Pochissime ore di sonno, lo
sguardo sempre attento, un'immediata comprensione dei fatti e la capacità
di dedurre regole universali da banalissime esperienze. Sapendo che comunque non
sarei sopravvissuto ad un'inspiegabile malattia, a metà tra un tumore, una
forma rara di AIDS e un virus di origine asiatica, ero spesso invitato a dibattiti
tra Fede e Ragione, la Morte e la Resurrezione e via dicendo, dove rappresentavo
l'unico pensiero laico e non credente nel raggio di alcuni chilometri.
Durò qualche mese, il tempo dell'assunzione del farmaco. Poi tornai normale,
ma non morii, con gran disappunto di quanti mi avevano fatto coraggio.
Questo per dire come, anche in occasione dell'incontro con l'uomo dalla cicatrice,
la paura, al pari del cortisone, mi aveva aiutato a collegare fatti tra loro all'apparenza
indipendenti.
Il soprannome Scela era legato ad un cognome. Li conoscevo bene entrambi, anche
se oggi il soprannome farebbe pensare ad altre persone.
Il cognome era riconducibile ad eventi delittuosi che ricordavo perché mi erano
stati raccontati e perché ne avevo trovato prove negli atti d'archivio.
Agli inizi del secolo scorso, alla Giudeca, fu trovato il cadavere di un uomo e
Sotto le Monache, cioè a dire nello stesso quartiere così chiamato
per trovarsi al di sotto del convento di Santa Chiara, poco più di un secolo
prima, era stato trovato morto nella sua bottega mastro Giovanni, un "barrilaro"
di Conflenti.
Non avevo bisogno del computer per mettere assieme alcuni legami parentali, visto
che vi avevo lavorato per tanti anni, pazientemente, incasellando ciascun membro
di ogni famiglia nel posto giusto e collegandolo agli altri con frecce e linee che
indicavano il diretto rapporto di discendenza.
Un lavoro da certosino, che riguardava oltre quattrocento cognomi e tutte le famiglie
vissute a San Marco dal 1809 al 1900.
Ricordavo il cognome della madre del mastro dei barili perché era lo stesso di un
famoso attore e avevo scoperto che nella sua famiglia, in un anno, in cui non è
documentata alcuna epidemia, si susseguirono varie estreme unzioni.
Successivamente, rileggendo il suo atto di morte, mi accorsi che a dichiararne il
decesso era stato un macellaio di Fuscaldo, una persona e un luogo che ritorneranno
nella nostra storia.
Scoprii che il mastro barilaro fu ucciso mentre mangiava un tozzo di pane. "Panis
frumenti fragmento Interclusum fuit spiritum eius" è scritto
nel libro dei morti della Parrocchia di Santa Caterina.
Ciò che a tutti apparve strano era il fatto che non si trattava di pane di
miglio, ma di pane buono, fatto con la farina bianca. Alla notizia della sua tragica
fine, si era aggiunta la voce, sprezzante e oltraggiosa, che egli fosse morto per
colpa del pane di grano, a cui non era abituato!
E si disse anche, con uguale disprezzo, che pur essendo nato a Conflenti, famosa
per il pane di grano, egli non aveva mai saputo apprezzarne la bontà!
Linguaggio oscuro, malavitoso, che sottintendeva il fatto che a Confluenti era nato
Nicola Gualtieri, alias Panedigrano, brigante, capomassa nelle fila dei sanfedisti,
nemico giurato di francesi e giacobini.
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Che egli fosse presente nel nostro Comune dopo il delitto era risaputo da tutti,
anche da don Raffaele Cristofaro, il sacerdote autore della "Cronistoria della
Città di San Marco Argentano", il quale, parlando di avvenimenti
accaduti sei anni dopo il delitto di cui ho detto, scrive nella sua opera che Nicola
Gualtieri, cambiando casacca e ideali, partì con altri sammarchesi alla volta
di Napoli per contrastare il tentativo borbonico di revoca della costituzione.
Davvero era rimasto a San Marco o, come altri dicevano, si era nascosto per un certo
tempo tra Figline e San Fili?
C'è un'altra cosa che deve essere tenuta presente per comprendere il prosieguo
di questa storia. Don Raffaele Cristofaro riporta la voce popolare che riteneva
lo Scela autore di un furto sacrilego di arredi sacri. Poi vedremo perché questo
fatto è collegato con gli altri di cui parlerò tra breve.
Ritorniamo al mio incontro con l'uomo venuto dal Brasile, il pronipote di Francesco
C., detto Scela. Se ricordate fu proprio quest'ultimo ad essere accusato ingiustamente
di essere il mandante della morte di Antonio Chiarella, ucciso dai briganti.
Nel narrare quella vicenda vi dissi anche che ero a conoscenza di cose che nessun
altro aveva mai avuto il coraggio di svelare e alcuni, che sapevano la verità
su questi delitti, occultarono i fatti e ne distrussero le prove.
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