L'OTTOCENTO DIETRO L'ANGOLO - ROMANZO
Copertina Romanzo



IL "BARRILARO" DI CONFLENTI

La paura paralizza il corpo ma fa strani effetti alla mente. Mette in corto circuito i neuroni che danno origine ai singoli pensieri, cosicché in pochissime frazioni di secondo si accavallano decine di essi.
È come prendere cortisone a dosi elevate.
Mi capitò di doverne assumere parecchio per sopperire ad una improvvisa carenza di piastrine. Mi ero ritrovato coperto di petecchie e guardato con sospetto dalle persone che, tenendosi a debita distanza, mi chiedevano come stavo e, poi, senza attendere risposta, mi invitavano ad avere speranza. Camminavo, irrazionalmente, con una mano in tasca per far fronte all'imponderabile, mentre, invece, la mente era diventata uno strumento razionalmente prodigioso. Pochissime ore di sonno, lo sguardo sempre attento, un'immediata comprensione dei fatti e la capacità di dedurre regole universali da banalissime esperienze. Sapendo che comunque non sarei sopravvissuto ad un'inspiegabile malattia, a metà tra un tumore, una forma rara di AIDS e un virus di origine asiatica, ero spesso invitato a dibattiti tra Fede e Ragione, la Morte e la Resurrezione e via dicendo, dove rappresentavo l'unico pensiero laico e non credente nel raggio di alcuni chilometri.
Durò qualche mese, il tempo dell'assunzione del farmaco. Poi tornai normale, ma non morii, con gran disappunto di quanti mi avevano fatto coraggio.
Questo per dire come, anche in occasione dell'incontro con l'uomo dalla cicatrice, la paura, al pari del cortisone, mi aveva aiutato a collegare fatti tra loro all'apparenza indipendenti.
Il soprannome Scela era legato ad un cognome. Li conoscevo bene entrambi, anche se oggi il soprannome farebbe pensare ad altre persone.
Il cognome era riconducibile ad eventi delittuosi che ricordavo perché mi erano stati raccontati e perché ne avevo trovato prove negli atti d'archivio.
Agli inizi del secolo scorso, alla Giudeca, fu trovato il cadavere di un uomo e Sotto le Monache, cioè a dire nello stesso quartiere così chiamato per trovarsi al di sotto del convento di Santa Chiara, poco più di un secolo prima, era stato trovato morto nella sua bottega mastro Giovanni, un "barrilaro" di Conflenti.
Non avevo bisogno del computer per mettere assieme alcuni legami parentali, visto che vi avevo lavorato per tanti anni, pazientemente, incasellando ciascun membro di ogni famiglia nel posto giusto e collegandolo agli altri con frecce e linee che indicavano il diretto rapporto di discendenza.
Un lavoro da certosino, che riguardava oltre quattrocento cognomi e tutte le famiglie vissute a San Marco dal 1809 al 1900.
Ricordavo il cognome della madre del mastro dei barili perché era lo stesso di un famoso attore e avevo scoperto che nella sua famiglia, in un anno, in cui non è documentata alcuna epidemia, si susseguirono varie estreme unzioni.
Successivamente, rileggendo il suo atto di morte, mi accorsi che a dichiararne il decesso era stato un macellaio di Fuscaldo, una persona e un luogo che ritorneranno nella nostra storia.
Scoprii che il mastro barilaro fu ucciso mentre mangiava un tozzo di pane. "Panis frumenti fragmento Interclusum fuit spiritum eius" è scritto nel libro dei morti della Parrocchia di Santa Caterina.
Ciò che a tutti apparve strano era il fatto che non si trattava di pane di miglio, ma di pane buono, fatto con la farina bianca. Alla notizia della sua tragica fine, si era aggiunta la voce, sprezzante e oltraggiosa, che egli fosse morto per colpa del pane di grano, a cui non era abituato!
E si disse anche, con uguale disprezzo, che pur essendo nato a Conflenti, famosa per il pane di grano, egli non aveva mai saputo apprezzarne la bontà!
Linguaggio oscuro, malavitoso, che sottintendeva il fatto che a Confluenti era nato Nicola Gualtieri, alias Panedigrano, brigante, capomassa nelle fila dei sanfedisti, nemico giurato di francesi e giacobini.
Che egli fosse presente nel nostro Comune dopo il delitto era risaputo da tutti, anche da don Raffaele Cristofaro, il sacerdote autore della "Cronistoria della Città di San Marco Argentano", il quale, parlando di avvenimenti accaduti sei anni dopo il delitto di cui ho detto, scrive nella sua opera che Nicola Gualtieri, cambiando casacca e ideali, partì con altri sammarchesi alla volta di Napoli per contrastare il tentativo borbonico di revoca della costituzione.
Davvero era rimasto a San Marco o, come altri dicevano, si era nascosto per un certo tempo tra Figline e San Fili?
C'è un'altra cosa che deve essere tenuta presente per comprendere il prosieguo di questa storia. Don Raffaele Cristofaro riporta la voce popolare che riteneva lo Scela autore di un furto sacrilego di arredi sacri. Poi vedremo perché questo fatto è collegato con gli altri di cui parlerò tra breve.
Ritorniamo al mio incontro con l'uomo venuto dal Brasile, il pronipote di Francesco C., detto Scela. Se ricordate fu proprio quest'ultimo ad essere accusato ingiustamente di essere il mandante della morte di Antonio Chiarella, ucciso dai briganti.
Nel narrare quella vicenda vi dissi anche che ero a conoscenza di cose che nessun altro aveva mai avuto il coraggio di svelare e alcuni, che sapevano la verità su questi delitti, occultarono i fatti e ne distrussero le prove.
 
 

L'Ottocento dietro l'angolo romanzo di Paolo Chiaselotti