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L'AFFILIAZIONE
Mentre tenevo d'occhio la sua mano che riponeva lentamente, troppo lentamente, nella
tasca l'accendino con cui aveva acceso la sigaretta, ripresi coraggio e cercai di
pensare al modo come liberarmi di lui: fuggire, voltandogli le spalle, o gridare
aiuto, nella speranza di costringerlo alla fuga.
La paura di essere seguito, o peggio inseguito, fino a casa mi teneva inchiodato
dinanzi a lui, quasi stessi rivivendo l'ultima fase cruenta del regolamento dei
conti di cui vi ho appena detto. Scelsi rapidamente la seconda soluzione e urlai
a pieni polmoni aiuto.
Dalla bocca mi uscì solo un "hai" che si spense con un gemito,
come nei sogni, quando la voce non esce oppure quando l'unico proiettile che potrebbe
salvarvi la vita scivola lentamente fuori dalla canna della pistola cadendo ai vostri
piedi.
Di fronte al mio grido trasformatosi in un sospiro di impotenza, l'uomo con la cicatrice
mi chiese se provavo ancora dispiacere al ricordo di mia madre: "Ainda dor pela
mãe?"
Il tono falsamente addolorato di chi vuole umiliarvi avendo capito che tremate di
paura mi fece recuperare quel coraggio che scatta improvviso di fronte alla derisione
dei sentimenti più cari.
Gonfiando i polmoni, tramutai il gemito che avevo emesso in una impavida affermazione:
"HAI di fronte a te la persona che cerchi".
Orgoglio e coraggio si spensero subito di fronte allo sguardo di soddisfazione sprigionato
dai suoi piccoli occhi neri. Continuai, mentendo e con un tono più dimesso,
che era stato informato male perché non avevo casa a San Marco.
Mi parve improvvisamente contrariato.
L'unico indirizzo che potevo dargli era quello di posta elettronica.
Tirai dal taschino della camicia un cartoncino azzurro e glielo porsi.
"Provi a cliccare qui" gli dissi con il dito sull'indirizzo, sperando
di farlo sorridere all'idea dell'impossibile collegamento digitale.
Sentii un clic e un coltello a scatto gli si aprì nella mano sinistra. Notai
che al polso aveva un braccialetto rosso di stoffa su cui riuscii a leggere "Bonfim".
Senza dire una parola tagliò il biglietto in due parti in corrispondenza
della @ e mi mise in mano la metà su cui era scritto il nome del provider,
libero.it.
Pensai ad un modo originale per farmi capire che ero libero di andarmene, ma non
mi mossi.
"Finalmente, o paolu sciaselotti! " mi disse leggendo il mio nome
sull'altra metà dell'indirizzo e appoggiandovi subito dopo il pollice, quasi
a non volerlo perdere.
Mi accorsi che il dito gli sanguinava; forse si era ferito tagliando il biglietto,
che si macchiò di rosso.
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Continuò a premere con forza il pollice sul cartoncino finché la tenue
emorragia non si fermò.
Quindi estrasse nuovamente l'accendino e bruciò la metà di indirizzo
scandendo le parole: "Sabia que era você!" Mi abbracciò
e mi baciò su una guancia.
Mentre mi teneva stretto, con forza, bloccandomi le braccia, mi chiedevo per quale
motivo una faccia tagliata era giunta fin qui dal Brasile per sapere chi ero e dove
abitavo.
E poi, perché si era accontentata di conoscere solo il mio nome, lasciandomi
l'altra metà dell'indirizzo di posta elettronica? Era tutto così strano,
eppure avvertivo che tutto dipendeva dalle mie ricerche.
Mi ricordai, mentre l'energumeno continuava a tenermi stretto e a scuotermi da un
lato all'altro, del rituale che aveva segnato l'ingresso di Scela nel mondo della
malavita.
Uguale, identico a quello a cui avevo appena assistito. I segnali che il suo discendente
mi aveva mandato erano chiari. Il giuramento del camorrista, fatto in mia presenza,
con il versamento del sangue sull'immagine virtuale rappresentata dal mio nome e
cognome, la distruzione di essa col fuoco sacro e infine il bacio. Cazzo, ero diventato
un affiliato?!
Vi chiedo scusa per l'espressione usata, ma è esattamente quella che mi venne
alla mente per la circostanza. Una vita passata a parlar male di mafiosi, camorristi
e 'ndranghetisti e poi di colpo, senza rendermene conto, diventare uno di loro per
colpa di un miserabile delinquente venuto dal Brasile.
Non sapevo se essere felice per lo scampato pericolo o se il peggio doveva ancora
arrivare. In ogni caso ero vivo e anche se mi ripugnava l'idea di essere stato affiliato
alla 'ndrangheta, pensai che avrei sempre potuto negare. Sempre. Negare sempre.
Anche a me stesso.
Cominciai, intanto, a convincermi che non era accaduto niente. Il signore venuto
dal Brasile era per me uno sconosciuto. Ci eravamo salutati e tutto era finito lì.
Restai meravigliato per la rapidità con cui avevo assunto anche la mentalità
omertosa.
Mi sciolsi dall'abbraccio che era diventato troppo pericoloso e camminando all'indietro,
lentamente, molto lentamente, accennai più volte un saluto con il capo, mentre
l'uomo mi guardava con un'aria appagata.
Appena scorsi ai miei lati le sagome dell'arco che conduceva alla via dove abitavo,
mi girai di scatto e mi misi a correre. Superai gli undici gradini e infilai a colpo
sicuro la chiave nella serratura.
Fui dentro prima che il camorrista brasiliano potesse rendersi conto che lo avevo
abbandonato in un vicolo già avvolto nelle tenebre. Rimasi per alcuni istanti
con le spalle appoggiate alla porta, cercando di trattenere il respiro affannoso
che avrebbe potuto rivelare la mia presenza e scaricando la tensione con un gesto
che era il segnale evidente di una ritrovata vitalità, ma di cui mi vergognai
subito dopo.
Non scoppiai nel pianto liberatorio che in questo caso sarebbe stato d'obbligo se
fossi stato una donna, ma con forza e ripetutamente appoggiai la mano sinistra sull'incavo
del braccio destro, facendone vibrare il pugno chiuso e urlando in silenzio al mio
invisibile nemico tre "Te' !!!".
Non ridete, vi prego.
C'è chi lo fa per aver segnato un gol. Io ero riuscito a salvare la pelle!
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