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IL DUELLO
Ritengo necessario farvi comprendere perché ero così terrorizzato
avendo dinanzi a me una persona che portava il segno inconfondibile di un accoltellamento.
Forse non vi sarà mai capitato di assistere ad un "regolamento di conti"
tra due persone che si affrontano armate di coltello.
Se l'avete visto in un film o alla televisione, vi assicuro che assistervi di persona,
soprattutto a pochi passi dai contendenti, è tutt'altra cosa.
Non è un duello in cui vi sono regole da rispettare, né una sorta
di balletto con scambi alterni di affondi e di pronte ritirate che è tipico
delle finzioni sceniche.
È semplicemente brutale.
Mi capitò di essere spettatore di questa scena violenta, a San Marco, nel
lontano 1950 -avevo nove anni- nella piccola piazzetta posta tra le due piazze maggiori,
le stesse dove si verificarono nell'Ottocento alcuni degli episodi della storia
che state seguendo.
Mi divertivo ad infilarmi nei vicoli o vineddre, percorrerli come in un labirinto,
poi uscire di corsa negli slarghi o chiassuoli che ogni tanto vi si aprivano e riprendere
questo girovagare spensierato, cercando di uscire nello stesso posto, ma seguendo
percorsi diversi.
Alla fine del vico mi trovai davanti un uomo enorme, che premeva con una mano il
volto di un altro individuo, più esile, contro il muro della casa che faceva
angolo tra la piazza e la via che avevo appena percorso.
Digrignava i denti come un cane e dalla stretta fessura della bocca fuoriuscivano
bava e minacce. L'altro, nel tentativo di girare gli occhi verso l'avversario, aveva
assunto l'aspetto di una maschera schiacciata, mentre i suoni che emetteva erano
simili allo stridere di un uscio su cardini usurati.
Tranne questi impercettibili movimenti la scena era di una immobilità estrema,
fino a quando comparvero i coltelli.
D'un tratto i corpi si allontanarono e le lame cominciarono a tagliare l'aria: nessuno
dei due temeva di essere colpito dall'avversario, bensì ciascuno cercava
di procurare all'altro con la massima violenza il maggior danno possibile.
I movimenti erano accompagnati da urla, sputi, ingiurie e bestemmie.
Ero a pochi passi da loro, immobilizzato dal terrore di ciò che sarebbe potuto
accadere.
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Non vi sembri strano, ma passati alcuni secondi, avevo già scelto chi avrei
desiderato che fosse ucciso: l'uomo che gridava di più, che nel mio giudizio
infantile doveva essere il malvagio.
Invece ad essere colpito fu quello più esile, al viso e alla spalla, con
un unico fendente.
La vista del sangue fu la fine della vorticosa danza della morte. Colpito il suo
avversario, l'uomo più robusto, con il coltello ancora in mano, si precipitò
correndo verso la piazza di basso. Nessuno lo inseguì e nessuno soccorse
l'altro, che se ne andò, da dove io ero sbucato, senza correre, premendosi
il viso con il dorso della mano.
Ritorniamo nel vicolo in cui abbiamo lasciato il brasiliano. È appena un
po' dietro la stradina da cui ero uscito mezzo secolo prima.
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