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IL FINTO GARIBALDINO
È finita l'epoca del governo borbonico, i cui soldati risalgono in fuga la
Calabria per rifugiarsi a Napoli, inseguiti da soldati con la camicia rossa, guidati
da un generale dal cognome impronunciabile: Garibordi o Garibardi.
Questi uomini che prendono il nome dal loro condottiero, dopo aver occupato Cosenza
e attraversato la valle del Crati, sono accampati nella pianura di Tarsia.
La sosta è dovuta alla necessità di provvedersi di cibo e acqua. Ai
comuni vicini, Sammarco compreso, il generale Garibaldi invia l'ordine di mettere
a disposizione tremila razioni di pane di ottima qualità, nonché "due
cantaji di formaggio ed un cantajo di lardo e prosciutto" (un cantaio
o cantaro equivaleva a circa novanta chili).
Il dispaccio fu mandato a Sammarco dal sindaco di Tarsia, incaricato della raccolta,
per un giovane che si era offerto volontario, Vincenzo di ventisette anni, nato
a Firenze.
Il garibaldino, giunto a Sammarco, si trovò di fronte al problema di non
sapere a chi consegnare l'ordine: se al vecchio sindaco Vincenzo Talarico o al nuovo,
Giuseppe Candela.
Il dispaccio fu lasciato ad un decurione, mentre il messaggero chiese che gli venisse
indicata una taverna dove poter bere un bicchiere di vino.
Nessuno lo vide nella taverna di Arcuri, la più centrale e più vicina
al Critè dove egli si era recato in missione. Il dispaccio consegnato non
ebbe alcun seguito sostanziale, tranne la stesura immediata di un atto decurionale
in cui si stabiliva di rifornire i garibaldini accampati di prosciutto e pane nelle
quantità richieste dal generale "Garibordi".
I soldi furono prelevati dal fondo delle spese "imprevedute" e
consegnati dal segretario a G.P. perché provvedesse all'acquisto e alla consegna.
La delibera non fu firmata da alcun amministratore e le vettovaglie non giunsero
mai all'accampamento di Tarsia, né vi tornò il messaggero.
Che fine fece nessuno di noi può dirlo, ma sta di fatto che una notte di
alcuni giorni dopo il cadavere di un vecchio mendico, con il volto devastato e irriconoscibile,
fu trovato in contrada Riforma. Fu registrato come tale Emanuele, nato a Catanzaro,
mendico di passaggio a Sammarco. Dalla stessa data non si ebbero più notizie
di mastro Domenico, il vecchio calzolaio con casa in strada Sir Andreace.
Che cosa era venuto a fare realmente il giovane ambasciatore degli ordini prodittatoriali
nella nostra città?
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Forse l'avrete già capito pensando alla regione da cui proveniva, ma vi pare
credibile che dopo mezzo secolo qualcuno sia arrivato fin qui per vendicare la prima
vittima di una lunga serie di delitti a Sammarco, ovvero Andrea, "asportatore
di cavalli di far giuochi del distretto di Compiano"?
Credo che le cose stiano proprio così.
Chi era?
Si chiamava Vincenzo Agri, nato a Firenze il 15 aprile 1833, o almeno queste furono
le generalità che fornì al momento dell'arruolamento, ma la commissione
governativa che compilò l'elenco alfabetico di tutti i componenti la spedizione
dei Mille di Marsala per il riconoscimento dei meriti di guerra non vi inserì
il suo nome perché risultò completamente sconosciuto.
Il finto garibaldino giunto a Caselle non vi trovò più i suoi commilitoni
e fu accompagnato per un tratto di strada verso la direzione opposta. Finì
il suo lungo viaggio in Sicilia, in un ospizio di Palermo, senza sapere chi fosse
né come si chiamasse.
Non so dire se per caso o per calcolo ma il suo cognome era composto con una parte
delle lettere che formavano il cognome della persona che doveva vendicare.
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