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CRESCENZO
Se pensate che dietro questo delitto vi fossero solo motivi passionali siete nel
giusto. Però, si dà il caso che ad essere aggredita in un modo così
barbaro era una persona che aveva mostrato una qualche simpatia per i francesi.
A Sammarco la maggior parte delle famiglie e il clero erano rimasti fedeli al re
Ferdinando di Borbone. I giacobini sammarchesi erano davvero pochi.
Nella nostra storia compare un tal Crescenzo, "non casato", che
in questa suddivisione scelse di stare con i pochi. E la pagò cara.
Chi era Crescenzo? Un "sartore" come si diceva allora.
Un sarto con idee giacobine aveva pochissimi clienti, in quanto coloro che potevano
permettersi un abito erano i signori, e la maggior parte di loro, nella mite Sammarco,
erano tutti fedeli al santo deposto sovrano borbonico, i pochi che provavano simpatie
per i francesi preferivano la divisa all'abito su misura.
Crescenzo, che all'epoca dei fatti aveva poco più di venti anni, aveva appreso
il mestiere dal padre Pietro che dopo morto gli aveva lasciato un tavolo con alcune
sedie, una forbice, un ferro da stiro, qualche debito e le sue idee politiche.
Di fronte alla turba di soldati che egli vedeva come fratelli liberatori, credette
che finalmente le cose sarebbero cambiate e che anch'egli avrebbe avuto una fetta
delle ricchezze possedute dai sartori di fede borbonica. Come?
Semplice. Avrebbe rammendato, rivoltato, ricucito le divise malconce di tutti quei
soldati.
A chi rivolgersi?
Crescenzo, il cui nome avrebbe dovuto presagire un futuro radioso, pensò
di raccomandarsi a don Andrea Amodei che gli sembrava il più convinto assertore
delle idee rivoluzionarie, le stesse che egli manifestava quotidianamente in perfetta
solitudine all'interno e sull'uscio della bottega.
Prima di inoltrarsi nella piazza si mise le forbici nella tasca esterna della giacca,
facendone uscire le punte che altrimenti avrebbero potuto bucargli la stoffa.
Devo precisare che una forbice da sarto, a quel tempo, era uno strumento prezioso
che difficilmente si lasciava alla mercè dei ladri, anche perché non
era facile trovarne una adattabile alla propria mano e quella di Crescenzo era piccola
e delicata. Così, involontariamente armato, andò alla ricerca della
persona che avrebbe potuto aiutarlo, chiedendo a diversi soldati dove avrebbe potuto
trovare don Andrea.
Fu allora che sentì gridare nella piazza il giovane la cui triste storia
già conosciamo.
Si avvicinò e quando vide che era trattenuto dai soldati francesi, pensò
che si trattasse di un brigante scoperto in casa di qualche vecchio sanfedista.
Una di queste case era a pochi passi dalla sua bottega, sulla destra.
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Era ancora lì quando vide passargli accanto un uomo con le mani in tasca
e l'incedere sbilenco; lo riconobbe subito e pensò che avesse intenzione
di liberare il brigante appena catturato.
D'istinto prese la forbice dalla tasca per scagliarsi contro un nemico dei francesi,
ma in quel preciso istante lo vide sferrare un fendente sul volto del ragazzo.
Rimase immobile, con la forbice stretta tra le mani, cercando di capire perché
mastro Domenico, di sicura fede borbonica, avesse ferito un suo degno compare.
Non ebbe il tempo di spiegarsi il motivo dell'aggressione, né cosa gli stesse
capitando. Fu afferrato da alcuni soldati che, pur non avendo assistito alla scena,
lo avevano visto lanciarsi di corsa verso il posto in cui altri commilitoni cercavano
ora di soccorrere un ferito.
Nella confusione che si era creata nessuno poté dire che cosa realmente fosse
accaduto e Crescenzo, preso con l'arma del delitto in mano, fu arrestato e rinchiuso
nel carcere di Cosenza, imputato di tentato omicidio e, alla morte del circense,
di omicidio.
Ne uscì alcuni mesi dopo, "con i piedi avanti" come soleva
dirsi per indicare le persone morte. Era stato trovato impiccato nella cella e la
guancia sinistra era stata tagliata con una forbice da sarto lasciata accanto al
cadavere. Che potesse essersi procurato da solo l'orrenda ferita per poi suicidarsi
era alquanto strano, se non impossibile, ma nessuno si preoccupò di accertare
come fossero realmente andate le cose, perché Crescenzo era pur sempre un
assassino, o almeno la giustizia lo aveva ritenuto tale.
Il carro che trasportò a Sammarco la cassa con il cadavere del giovane sarto
dovette attendere qualche ora prima di accedere al piazzale antistante la chiesa
di "Santomarco".
La voce della presenza del feretro, giunto dalle carceri di Cosenza, si propagò
di bocca in bocca fino a raggiungere la coda della processione dove la madre pregava
con altre donne. Un colpo di mortaretto diede inizio ai festeggiamenti e il corteo
si mosse cantando dietro la statua del santo patrono.
Giovanna Rizzo si avviò dalla parte opposta per raggiungere la salma del
figlio.
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