Non voleva sentir ragione e le urla furono udite dall'esterno. Domenico lo trovò
senza calzoni mentre cercava di salire sul letto dove Gesualda giaceva ancora debole
per il parto. Lo convinse a vestirsi e ad uscire per bere un bicchiere di vino nella
taverna di Leonardo.
Quando fu riaccompagnato a casa, Saverio vi trovò due guardie urbane, con
due pistole in mano e l'occorrente per usarle. Non seppe spiegare loro, ma neppure
a se stesso, perché le tenesse nella cassa, sotto la legna da ardere.
Dopo aver raccomandato a Domenico la sua Gesualda, fu condotto in catene a Cosenza,
preceduto da un'informativa sulle sue simpatie giacobine. Il giorno seguente dovette
proseguire il viaggio verso le galere di Napoli.
Da allora il calzolaio divenne il geloso tutore della donna, convinto di esser ripagato
dalla gratitudine di costei per averla liberata da un marito rozzo e bestiale e
per consentirle, assieme al figlio, una vita dignitosa.
Crescenzo entrò nella vita di Gesualda per caso, dopo alcuni anni. Cucì
delle braghe a Nino, le smontò e le rimontò un paio di volte e quattro
volte prese le misure, stando accovacciato vicino alla donna seduta con il bambino
in piedi sulle gambe.
In una di queste occasioni le disse che sembrava una madonna e le toccò con
la sua piccola mano un ginocchio. Poi portò lentamente alle labbra le dita
che avevano osato tanto e vi impresse un bacio, come si usa fare con le statue dei
santi. Fu l'inizio.
Gli incontri avvenivano nella bottega di lui, quando lei gli portava i panni lavati
al fiume. Ne usciva dopo pochi minuti con la sensazione di avere ancora sul viso
e sul collo le carezze impercettibili delle sue dita; sulle labbra inturgidite e
appena dischiuse manteneva piacevolmente una leggera bolla di saliva che era il
lento distacco dal suo uomo.
A casa, nella sua unica stanza, sul letto, con una pezzuola candida, già
umida e odorante di altro umore, si asciugava la traccia lasciatale dal tenero amante.
Poi estraeva dalla tasca un piccolo foglio di carta su cui Crescenzo le aveva scritto
una poesia e, fingendo di comprenderne lo scritto, ripeteva ciò che lui le
recitava ogni volta prima dell'amplesso:
"L'uocchi tua su' cumi dua palummi,
i capiddri cumu nu mantu i crapi,
i dienti cumi tanti picureddre,
i labbra su nu filo scralatto,
i minni cumi dua cirbieddri"
Chiudeva gli occhi e sorrideva; quelle parole le davano la sensazione di essere
sollevata dagli angeli oltre il tavolato del soffitto, nero come la pece.
Lei non lo sapeva, ma i versi che il suo amante le aveva dedicato non erano proprio
originali ...
Quando venti anni dopo un giovane pittore, le chiese di posare per un'Addolorata,
si ricordò delle sue estasi e del fatto che anche Crescenzo l'aveva paragonata
ad una madonna. Non attribuì mai alcuna intenzione peccaminosa alle sue azioni,
neppure quando don Salvatore, nella confessione, le chiedeva insistentemente, con
un tono di voce che non lasciava dubbi sul motivo di tanta curiosità, che
cosa andasse a fare nella bottega di Crescenzo.
Il giovane pittore, che poteva essere suo figlio, le restituì la dignità
di donna e di madre che la vita le aveva negato. Il quadro rimase appeso fino ad
alcuni anni addietro nella sagrestia di una chiesa sconsacrata, da dove fu rimosso
assieme a calcinacci e vecchi arredi quando l'edificio fu restaurato.
Io ebbi modo di vederlo e mi colpirono oltre i lunghi capelli e le candide spalle
nude, alcuni graffi sullo strato scuro della pittura, in basso a sinistra, fatti
per cancellare un particolare del dipinto.
Allora non pensai di fotografare né il quadro, né tanto meno il particolare
che giudicai insignificante. Si potevano leggere alcune lettere puntate,
F.P.P.,
che interpretai come la firma dell'autore. Solo anni dopo, quando iniziai a leggere
i documenti dell'Ottocento, scoprii che a San Marco visse nei primi decenni dell'Ottocento
un pittore le cui iniziali coincidevano con le prime due lettere che avevo intravisto
sul quadro, mentre la terza indicava che egli ne era stato l'autore:
F[ilippo]
P[erron]e
P[inxit].
Chi e perché avesse tentato di cancellare la firma non saprei dirlo, ma i
graffi sulla pittura potevano essere stati prodotti solo dalla punta di un coltello.
O di un trincetto.