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La Torre 'Normanna' (XIII-XIV sec.)
Tradizionalmente attribuita a Roberto il Guiscardo, sulla base di un'erronea interpretazione del termine castrum
Sancti Marci, ovvero della residenza territoriale da lui scelta, fu costruita dai Sanseverino, come attestano tre
stemmi posti sulla superficie esterna del torrione, al cui interno una scala elicoidale realizzata nello spessore del
muro perimetrale consente l'accesso ai quattro vani. Un
vano sotterraneo è raggiungibile attraverso una botola ricavata nell'ultima stanza. Attraverso un ponte sospeso,
si accede nella stanza mediana del torrione, coperta da una suggestiva volta a padiglione. Illuminata
da due ampie finestre ad arco, con funzione di posti di osservazione, è dotata, come le due stanze superiori,
di una 'latrina', di una nicchia di accesso al piano inferiore, di un ampio camino. La stanza superiore ha conservato
le aperture originarie, di forma rettangolare e di dimensioni ridotte, anch'esse con funzione di avvistamento. L'ultima
stanza, di maggiore altezza, riceve luce da una terza finestra posta a livello della copertura. Le due luci, anch'esse
predisposte all'avvistamento, sono quelle originarie. Un forno, forse di fattura posteriore, e la solita 'latrina'
completano i vuoti praticati nei muri perimetrali. Dal terrazzo si può ammirare il panorama e la valle del Fullone.
L'apparente coronamento è in realtà la parte residuale del parapetto difensivo con funzioni di caditoie,
di cui sono rimaste solo le mensole di sostegno.
Il torrione poggia su una piattaforma troncoconica, in parte circondata da un muro di difesa, che prende il nome di
rivellino. Vi si accede attraverso una torretta di guardia a pianta rettangolare, collegata ad una scala attraverso un
ponte sospeso, in origine levatoio. All'esterno, ai piedi del rivellino, un'apertura fungeva da via di fuga.
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 |
L'Abbazia di Santa Maria e la Sala Capitolare
della Matina (XI-XIII sec.)
Se la torre ha un valore simbolico, l'abbazia della Matina rappresenta il monumento storico per eccellenza della città
di San Marco Argentano. Nacque come abbazia benedettina per volere di Roberto il Guiscardo e della moglie Sichelgaita e fu
in seguito trasformata in abbazia cistercense di cui ancora oggi conserva la sua principale struttura architettonica: la
sala capitolare. Fu grazie alla pubblicazione delle cosiddette Carte Latine dello storico Alessandro Pratesi negli anni Cinquanta
del secolo scorso che i preziosi documenti riguardanti la fondazione del complesso monastico divennero il fulcro delle conoscenze
storiche riguardanti San Marco Argentano. Le origini stesse della città trovarono in detti documenti conferma del passaggio
dalla giurisdizione del vescovo di Malvito al dominio assoluto di Roberto d'Altavilla, che ne comprò titoli e diritti,
cedendo buona parte dei territori alla comunità monastica benedettina. Ciò che oggi il visitatore può ammirare
è soprattutto l'aula capitolare, che richiamandosi allo stile gotico-cistercense dell'abbazia di Casamari, mostra
l'originalità di alcune soluzioni stilistico-strutturali, quali le colonne a fascio da cui si dipartono a calice i vari
costoloni a sostegno delle suggestive e leggerissime volte. Il complesso edilizio che attualmente contiene le residue strutture
originarie, nell'Ottocento fu trasformato in palazzo privato dai baroni Valentoni, i cui eredi sono gli attuali proprietari.
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
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Convento e chiesa della Riforma (XIV sec - XVIII interno chiesa)
Si vuole che sia stato fondato da Pietro Cathin, seguace di San Francesco d'Assisi, ma in verità la costruzione del
convento iniziò nel 1320 come attesta un'epigrafe all'interno del chiostro e come è affermato dallo storico
francescano irlandese Luke Weddings, italianizzato in Luca Waddingo, nella sua opera "Annales Minorum: seu Trium
Ordinum a S. Francisco institutorum". L'opera fu realizzata come atto di devozione da parte della città.
Nel XVIII secolo nella chiesa dedicata a Sant'Antonio di Padova le originarie strutture gotiche furono ricoperte con stucchi
e decorazioni di stile barocco.
Al suo interno presso ogni altarino sono esposte tele raffiguranti per la maggior parte santi dell'ordine minoritico. Ai lati
dell'altare
si trovano due tele raffiguranti Pietro e Paolo, opere del pittore Pietro Negroni, nato a San Marco nel quartiere Trivolisi;
dello stesso autore è la Trinità posta in alto nella parte absidale. Sotto di essa un crocifisso ligneo attribuito
alla scuola
di frate Umile da Petralia. Una serie di stalli intarsiati e intagliati datati 1772 e un leggio girevole del 1564 con intarsi
su entrambi i
lati impreziosiscono la zona retrostante l'altare destinata al coro. La sacrestia custodisce un mobile del Settecento finemente
intagliato con motivi
naturalistici. Il convento ospitò per un anno Francesco da Paola, che ancora tredicenne fu mandato qui per adempiere ad
un voto, svolgendo le funzioni di famulo a servizio dei monaci. A questo periodo gli si attribuiscono i suoi primi due
miracoli. Nel
giardino del convento, oggi parco comunale, si trova la cappelletta a lui dedicata con la grotta presso cui si recava
quotidianamente a pregare. Il nome Riforma dato al complesso si riferisce alla nuova regola monastica da cui i frati
minori riformati presero il nome.
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
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La Cattedrale (ricostruita XX sec.) e la 'Cripta'(sostrazione XII sec.)
La cattedrale come oggi appare fu relizzata negli anni Trenta-Quaranta del secolo scorso sulla scia di quell'Eclettismo
che dettava ancora 'legge' nell'accostamento di stili diversi. Lo confermano i richiami ad architetture toscane del campanile,
il portale centrale strombato con arco a sesto acuto affiancato da due piccoli portali 'romanici', sormontato da un
vistoso rosone, tutti in pietra da taglio, all'interno le volte stellate di suggestione assisiate, per concludere con
le tre absidi circolari decorate all'esterno con chiara ispirazione arabo-normanna.
Una stampa di inizi Settecento dell'abate Pacichelli su disegno di Cassiano da Silva mostra qual era il duomo prima della
sua demolizione e ricostruzione: la torre campanaria separata dal corpo della chiesa e due enormi cupole che sovrastavano
il colmo della navata centrale ai lati nella parte porteriore, sorrette da due torri circolari. Il duomo è dedicato
a San Nicola e la sua datazione risale con molta probabilità a fine XII inizi XIII secolo, quando la vecchia chiesa
di San Nicola di cui abbiamo testimonianza nei documenti riguardanti l'abbazia della Matina fu ampliata attraverso la
realizzazione di un nuovo piano di appoggio, la cosiddetta cripta. Questa costruzione, a lungo ritenuta una cripta, da studi
recenti si è rivelata un'interessante esempio di struttura di appoggio, che fu realizzata con possenti arcate che
l'alternanza di pietra e cotto rende agili e cromaticamente preziose. Quando San Marco subentrò a Malvito come nuova sede
vescovile si volle realizzare un complesso che dall'alto della grande silica su cui sorgeva potesse apparire in
tutta la sua maestosità a quanti si accingevano a fare il loro ingresso nella città normanna. |
 |
Chiesa di San Marco Evangelista
Nonostante la sua importanza, trattandosi della chiesa dedicata al patrono della città la sua storia nel contesto religioso
diventa quasi secondaria e senz'altro molto tarda rispetto ad altri edifici religiosi. La sua costruzione risale ai primi anni
del Settecento, anche se il culto del Santo era praticato fin dal Cinquecento come attesta la Relazione ad Limina del 1590 del
vescovo Antonio Migliori. L'edificio sul luogo dove sorgeva una piccola cappella dell'Epifania, fuori le mura della cittaà,
nell'area sottostante la torre. La pianta centrale del nuovo tempio probabilmente ricalca quella della chiesetta, di probabile
origine bizantina e destinata a battistero stando alla sua dedicazione all'Epifania. Nell'Ottocento la chiesa fu sconsacrata
per un certo periodo e fu utilizzata finanche per le riunioni della loggia massonica nata a San Marco dopo la Repubblica Partenopea.
Fu in seguito restaurata con un rifacimento della facciata e l'inserimento di nicchie e di elementi decorativi prima dall'arcidiacono
Campagna e nel Novecento dal parroco Raffaele Rocco. Caratteristico il campanile posto al centro sul culmine della facciata,
ricoperto con una vistosa cupola con maioliche gialle e verdi. Sulla volta una tela dell'Ottocento raffigura il battesimo impartito
dall'Evangelista Marco a Dominata e i suoi tre figli Senatore, Cassiodoro, Viatore, che secondo una leggenda furono convertiti al
cristianesimo l'Evangelista transitò su San Marco. |
 |
La fontana di Santomarco (XVIII secolo)
restaurata e rinominata di Sichelgaita nel 1979
La fontana di Santomarco come appare oggi è il risultato di un restauro dello scultore
Eduardo Bruno, nato a San Marco e attivo in Toscana, nel 1979. La fontana originariamente aveva la
parte superiore che si concludeva con una struttura di coronamento curvilinea, sotto
la quale si trovava, racchiusa entro due volute, l'altorilievo in pietra raffigurante il simbolo di San Marco Evangelista,
tuttora presente. L'aspetto baroccheggiante del colmo sembrava un'aggiunta postuma al resto
dell'architettura, caratterizzata dalla linearità delle lesene e della trabeazione, adorna di tre protomi femminili.
Lo scultore decise di ricondurre il tutto ad un prospetto rinascimentale, eliminando la parte curvilinea e ricavandone
l'attuale forma rettangolare.
L'unico materiale di un certo pregio era quello lapideo limitato alle protomi, all'altorilievo e in parte alle lesene;
tutto il resto era cemento e malta cementizia. La vasca fu rifatta in pietra da taglio sagomata, le pareti intonacate
tra le lesene furono ricoperte anch'esse con lastre in pietra di San Lucido, la vasca laterale, un abbeveratoio, rimodellata
a sedile con pietre ricavate da lastricati dismessi. Le bocche di uscita dell'acqua, semplici fori nella parete, furono
abbellite da lastroni in rilievo della predetta pietra e protomi leonine in ghisa nera.
Successivamente due delle tre teste muliebri che decoravano la trabeazione furono dallo stesso scultore attribuite ad Alberada,
a Sichelgaita e quella centrale alla Virtù, il tutto non su base documentale, ma per un semplice accostamento delle
figure femminili, abbigliate in maniera 'regale', alle due mogli del Guiscardo. La fontana originaria,
i cui lavori di ripristino e costruzione di una condotta sono ampiamente documentati negli archivi comunali tra le opere eseguite
dalle varie amministrazioni comunali nel corso dell'Ottocento, cambiò aspetto e denominazione. Da fontana di Santomarco
fu rinominata fontana di Sichelgaita.
Lungi dall'essere una fontana normanna come riportato impropriamente nel cartello segnaletico, a che epoca si può far
risalire la sua costruzione? Considerato che i lavori di ripristino e di realizzazione di una nuova condotta risalgono agli
inizi dell'Ottocento, essa doveva essere già esistente nel secolo precedente, ovvero nel Settecento, anno in cui
è documentata la costruzione della chiesa di San Marco Evangelista. Tuttavia essa non risulta esistere nel XVII secolo,
e precisamente nel 1632, in base ad una dettagliata descrizione della proprietà che le monache Clarisse avevano avuto
in lascito da Pompeo Valentoni, dalla quale risulta non esservi nè la chiesa, nè alcuna fontana, ma soltanto
nella parte soprastante una porzione della torre a confine con detta proprietà.
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 |
Santa Maria dell'Ilice o della Nova o dei Longobardi (sec.XIII?)
Non abbiamo una datazione certa per questa piccola chiesa a navata unica e due porte d'ingresso che si trova su una propagine
all'estremità occidentale, probabilmente fuori le mura della città alla quale si accedeva da una porta d'ingresso
detta delli Trivolisi, corrispondente al quartiere Capo delle Rose. La chiesa è tuttora affiancata da una strada
che conduceva a valle e alle marine di ponente.
La definizione 'dei Longobardi' con cui è attualmente chiamata le deriva dall'illustrazione dell'abate Pacichelli riportata
nella descrizione di San Marco agli inizi del XVIII secolo. In documenti antecedenti fu sempre chiamata Santa Maria dell'Ilice
o della Nova. Poiché la chiesa è da sempre dedicata al culto della Madonna del Monte Carmelo dobbiamo ritenere che
la sua costruzione risalga al secolo XIII o a quello successivo alla nascita di questa devozione mariana, come potrebbe suggerire
l'originaria denominazione di Santa Maria della Nova. Il nome Ilice le derivava dalla presenza in loco di un elce o leccio.
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Chiesa di San Giovanni degli Amalfitani, oggi Museo Diocesano (sec.XII)
Di questa chiesa abbiamo un documento che ne attesta l'esistenza già nell'anno 1209. Si tratta di un atto di compravendita
di un 'casalino' nell'area pubblica antistante la chiesa di San Giovanni degli Amalfitani. Il documento fa parte delle cosiddette
Carte Latine dell'abbazia della Matina pubblicate dallo storico Alessandro Pratesi. La dedicazione della chiesa è
indicativa dello stretto rapporto che esisteva tra San Marco e la repubblica marinara di Amalfi conquistata dai normanni nell'XI
secolo. La facciata aveva un aspetto diverso e fu innalzata negli anni Trenta del Novecento. Gli elementi lapidei del rosone e
del portale, pur se restaurati, rispettano le strutture originarie. La chiesa divenne nel Seicento sede della Congregazione
dell'Immacolata che aveva come patrono San Giovanni Battista. Oggi è sede del Museo Diocesano e al suo interno conserva
pregiate opere di argenteria tra le quali una preziosa Croce Reliquaria del 1308.
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Chiesa di Santa Caterina (sec.XVI secolo)
Attualmente adibita a sala convegni e auditorium la sua costruzione risale al XVI secolo e fu sede della potente congregazione
dell'Immacolata, come attesta il libro contabile conservato nell'archivio privato della famiglia Selvaggi, redatto negli anni dal
1598 al 1603, quando la congregazione si trasferì nella chiesa di San Giovanni degli Amalfitani. Nel documento è
scritto che le suppellettili furono lasciate nella chiesa, e tra esse quelle che tuttora vi si trovano e richiamano l'attenzione
del visitatore sono gli stalli laterali del coro ligneo e il sovrastante pulpito. Dopo il trasferimento della congrega, l'edificio
fu restaurato. Vi furono eseguiti almeno due interventi, uno nell'immediato con l'elevazione dell'edificio e con la creazione di
un portale in pietra di mediocre fattura e con il rifacimento della torre campanaria. Un altro intervento riguardante l'interno
fu eseguito nell'Ottocento a cura del barone Campagna priore della nuova Congregazione religiosa che aveva scelto la chiesa come
propria sede. A quel periodo risale la grande tela, forse originariamente sollocata sulla volta, raffigurante il Compianto del
Cristo Morto, che ritengo sia da attribuire ad un pittore locale, Nicola Pagano. |
 |
Convento e chiesa di San Francesco di Paola (sec.XVI)
Il convento di San Francesco di Paola, a cui più tardi si unì la chiesa omonima, nasce nel XVI
secolo per volontà e con il contributo di alcune famiglie nobili. Probabilmente fin dall'inizio era un
romitorio. Ancora nell'Ottocento, infatti, troviamo citate persone che prestavano assistenza presso l'Ospedale dei
Poveri ubicato all'imbocco dell'attuale via Vittorio Emanuele, allora via San Francesco.
La proprietà dei Minimi, grazie a donazioni e lasciti, si estese sia nella zona sottostante che a monte,
raggiungendo i terreni che circondavano la torre. Certamente la famiglia Valentoni che era proprietaria di vasti
territori fu la principale sostenitrice dei francescani di Paola.
Il luogo in cui sorse il convento faceva parte del vasto comprensorio appartenuto all'abbazia della Matina con
il nome di Santa Venere, che si estendeva dall'omonimo torrente fino alla Conicella. Probabilmente proprio nell'area
in cui sorse il complesso francescano era ubicata la chiesa di Santa Venere citata in vari documenti facenti parte
delle Carte Latine del Pratesi. Più tardi l'area prese il nome di Santo Stefano che conservò fino ai
nostri giorni. Il seminario fu trasferito dalle
cosiddette vecchie fabbriche del seminario, corrispondenti al palazzo Talarico all'imbocco di via Roma, presso
l'area conventuale di San Francesco nel 1823 a seguito di una permuta effettuata con il Comune. La chiesa, come
appare oggi, fu iniziata nell'Ottocento e completata nei primi anni del secolo successivo.
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 |
Sant'Antonio Abate (sec.XIII?)
Prima ancora dell'esistenza di una chiesa con tale nome abbiamo notizie di un omonimo quartiere che delimitava a sud-ovest
l'area denominata Motta. Il quartiere che conservò anche in anni recenti questo nome è descritto nella Platea
delle Monache di Santa Chiara come parte terminale del paese, ai cui limiti si vedono ancora vecchie muraglie e risultava
privo di strada di accesso. Notizie sulla chiesa sono databili a partire dall'Ottocento, quando in un contenzioso tra due
famiglie per l'utilizzo di un corso d'acqua, si fa cenno alla crezione di un alloggio per viandanti accanto alla chiesa.
In dialetto il santo era chiamato Sant'Antuonu e la sua immagine con a fianco un porcellino farebbe pensare che il quartiere
fosse originariamente destinato all'allevamento dei maiali.
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