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Sutt'a lingua : Curiosità e approfondimenti.


DI TUTT 'I CULURI.

N'ha fattu 'i tutt'i culuri è l'espressione comunemente usata nei confronti di uno scapestrato o di un libertino, presa in prestito da un mondo variegato in cui il colore è elemento distintivo e fondamentale. Chi più dell'arcobaleno, da noi calabresi chiamato semplicemente arcu, può aiutarci nella ricerca di questo mondo in cui sguazzano felici puttanieri (si pronuncia puttanìeri con la e aperta), scangianìsi, malifabbène, e via dicendo.

Intanto costoro fanno già parte dell'arcu, mentre gli altri, le cosiddette brave persone, ne sono escluse, tanto è vero che l'augurio peggiore che si poteva rivolgere ad una persona era «Ca ti vo' suca' n'arcu», il che equivale al risucchio all'interno dell'arcobaleno!
Cose inaudite, in altri dialetti, quasi che la vita fosse grigia, o in bianco e nero, e il mondo dei colori un inferno.
Ma davvero il mondo sammarchese era solo grigio o in bianco e nero?

Per capirlo dobbiamo cercare quale e quanto peso avessero i colori nel dialetto locale, ad iniziare dal bianco, il colore della luce accecante, jancu cumu nu zinn'i niva, bianco come un fiocco di neve. Ama 'njianchia' a casa, significava passare la calce viva sulle pareti. S'era fattu jancu ca paria ca stava muriennu, bianco come un cadavere, cca lissiva i panni vinienu janchi janchi janchi, quando le lavatrici erano chiamate lavannare.
Al contrario u nivuru era il lutto innanzitutto, poi la disgrazia, ca vo' 'bini' 'chiu' nivura da menzannotte, nivuru cumu na quadara, ma se era nivurieddru o nivureddra era accettabile.

U griggiu andava sempre bene, matrimmoni, crisimi, muarti 'un ci scumpariesi mai.
S'era fatta cusi nu taierinu griggiu, ma di nu griggiu c'un tu sacciu di' tantu era bellu!, l'essenziale era che non apparisse. Grigia pure lei, che lo indossava.
Se volevi dipingere la casa di griggiu potevi farlo con un griggiu chiaru chiaru chiaru e i finestri griggi. E di quale grigio le finestre? 'Cchi ti dicu, nu griggiu ca si c'intona!

Spesso qualcuno osava, e aggiungeva qualche rimasuglio di altro colore allu griggettu. Prova 'cu nu poch'i russu. No, era troppu e si aggiungeva ancora un po' di nero, poi bianco, poi ancora un po' di verde. Ci stona, e alla fine: ci pittamu u fucularu.
Il colore? era sempre un grigio, ma nu griggiu ca ti facia aggrizza' i carni e forse per questo era familiarmente chiamato culuru 'i gatta fujiennu.

E poi? U giallettu, famoso, usato un po' dovunque, quasi temendo la chiassosità del giallo: U facimu giallu?, E' megliu nu giallettu era la risposta. La brutta cera era abbinata alla cattiveria, i giallinuti e i facci gialli ne facevano le spese. Di nu bellu giallu vivu non l'ho mai sentito dire, neppure dei meloni che erano sempre gialletti.

Russu cumu nu pipazzu poteva capitare di sentirlo dire riferito ad una persona ruglia di vino o a chi era stato scanagliato in un faccifrunta, ma se qualcuno avesse osato indossare qualcosa di rosso, Arrassusia!, alla vicchiaja i cavuzi russi, laddove il rosso era messo alla pari delle feci umane: o merdu o barretta russa, intendendo due opposti entrambi discutibili.

Virdu, verde, poteva essere accettato purché fosse nu bellu virdu, inutile chiedere quale tipo di verde, la risposta era sempre la stessa nu bellu virdu. Guai ad accostarlo al veleno, però, perché non si trattava più di un colore ma di un indizio grave di malvagità: virdu du vilenu, virdu da raggia, virdu da'mmidia. E se una parete doveva essere dipinta di verde, era sempre preferibile nu virdinu.

L'arancio e l'arancione esistevano solo come purtugallu il primo e come 'un ci sta 'buonu il secondo, visto che in questo caso di arancinu non se ne poteva parlare: ca 'un sa' chiru ca ci mindanu 'i dintra.

U viola non esisteva se non nella forma diminuitiva nu violettu, inapplicabile a chicchesia tranne a qualcosa che copriva l'uommini 'i ghiesia.

U blu era solamente u cielu, o meglio u cìalu, visto che vi volavano i ciavuli, e era talmente ammirato che diventava bblù, ma chi lo diceva? solamente i perdigiorno, per tutti era sempre nu bell'azzurrinu.
Vistutu tutt'i blu supa na bella machina blu poteva essere il sogno del primo, per gli altri era solo nu merdu chin'i sordi.

Punti di vista, certo, ma stiamo parlando degli anni in cui anche una bicicletta era un lusso e neppure ai matrimoni si indossava l'abito blu. E che abito si indossava? di villutu supa u marroncinu, di velluto sul marroncino!

Mi chiedo, credo legittimamente, come mai il diminuitivo in "ino" o in "etto" non esisteva nel nostro dialetto per indicare qualcosa di piccolo o bello, mentre era usato nei colori. Un gattino era nu gattarieddru, una sediolina na siggiulicchia, un automobilina na machinicchia, un secchio nu sicchiuzzu ma il giallo era solo e sempre nu giallinu o nu giallettu.

Negli anni u giallettu ha pervaso ogni cosa, case comprese, entrando a buon diritto nella storia del nostro paese, tant'é vero che la stessa sovrintendenza alle belle arti quando deve autorizzare coloriture di facciate sfoglia i proprie registri e alla voce San Marco trova: giallettu chiaru.


Paolo Chiaselotti


San Marco Argentano, 22 settembre 2022

Un lettore mi ha fatto osservare che c'era il rosa ... ma pallidu!