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GALANTUOMINI E BRIGANTI
Nella serie di vendette e di oltraggi reciproci che si consumarono per tanti anni,
giungendo fino ai nostri giorni come vedremo in seguito, rientra l'uccisione di
Antonio Chiarelli.
"Piccerì" raccomandava alle sue figlie "guardateve di'
galantommi", sapendo che i cosiddetti galantuomini erano peggiori dei
briganti e che spesso questi ultimi venivano utilizzati dai primi per vessare la
povera gente.
Concetta, la più grande delle sue cinque figlie, sentiva la mancanza del
nonno Gennaro, che la portava sul calesse in giro per i quartieri più belli
della città. Era il cocchiere della nobile famiglia degli Ajala, che abitavano
"alla Capitale di Napoli", grazie ai quali il figlio Antonio aveva potuto
arruolarsi nella gendarmeria reale e diventare un graduato.
Concetta pianse quando dovette seguire il padre nella nuova destinazione in Calabria,
e una volta giunta a Sammarco, ebbe la sensazione che i monti intorno fossero le
sbarre di una prigione. Le mancavano il mare e gli spazi aperti a cui era abituata
e la casa di Sammarco dal soffitto basso, di sole tre stanze, condivise con il padre
Antonio, la madre Francesca Cimino, il fratello Gaetano e le sue quattro sorelle,
le ricordava la stalla del palazzo dove il nonno Gennaro strigliava i cavalli.
Non le parve vero quando seppe che avrebbe prestato servizio in casa del giudice,
una bella dimora nel quartiere sottostante quello della piazza di basso, abitata
da persone importanti e, anche dai due giovani figli del magistrato.
Ordinava, sistemava, cuciva e dirigeva anche i lavori che dovevano essere svolti
da altre domestiche. Insomma svolgeva le funzioni che avrebbe svolto la moglie del
giudice se fosse stata in vita.
Chi dei tre uomini l'avesse messa incinta non si sa, né lei volle dirlo,
quando, piangendo, dovette spiegare alla madre i motivi di un deliquio e della pancia
più voluminosa.
Il padre, non sapendo a quale dei tre galantuomini attribuire la paternità
e soprattutto temendo di provocarne una qualche reazione che avrebbe potuto danneggiare
lui e la sua famiglia, accettò la nascita della nipote, Maria, come un fatto
ineluttabile.
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Il suo silenzio non servì a salvarlo, perché i galantuomini non solo
non tollerano che si possa parlar male di loro, ma finanche che si possa pensar
male. E il pensiero di un padre, per quanto non espresso, in quel caso si leggeva
in volto, soprattutto se quel padre era un gendarme reale a stretto contatto con
chi amministrava la giustizia e ne riceveva ordini e incarichi.
Chiunque a Sammarco avrebbe dato credito al giudice e ai suoi bravi figlioli piuttosto
che ad un gendarme, venuto da Napoli, che aveva mandato la propria figlia, già
incinta, in casa di quei galantuomini, per addossare loro, dolosamente, la responsabilità
di una paternità, che, a loro insindacabile giudizio, era frutto di un incesto.
Difficile opporsi al destino, soprattutto quando esso è in mano della gente
per bene. Antonio Chiarelli fu trovato nel quartiere del Crité, lontano dalla
piazza di basso, riverso in una pozzanghera di sangue e con un taglio sul volto.
Ad ucciderlo una palla di fucile nella schiena.
Perché quel taglio inutile? Le indagini indirizzarono i sospetti sull'unica
persona che poteva aver motivi di vendetta: Francesco C. Ne sentirete parlare nel
seguito del racconto e capirete perché ora non ne indico il cognome. Poiché
il presunto omicida era già in carcere, si disse che fosse stato il mandante.
Due anni dopo questa morte, Rosina Chiarelli, la secondogenita di Antonio, si sposò
con un sergente di servizio a Cerzeto, Filippo Donadio, il quale dalle confidenze
di un informatore seppe che il padre della sua sposa era stato ucciso da un noto
brigante del luogo su commissione di una persona di grande rispetto.
Filippo non poté scoprire di più, ma riuscì a dimostrare che
il taglio non era il segno di una vendetta, bensì un espediente per dirigere
le indagini in altre direzioni.
Passarono più di dieci anni, cambiarono il giudice e il governo, e alla vedova
Francesca Cimino, al figlio Gaetano e alle figlie fu riconosciuto il "diritto
al Fondo raccolto dalla sottoscrizione nazionale per le vittime del brigantaggio".
Era il 21 luglio 1863.
Nella casa del giudice abitò alcuni anni addietro un mio amico, che sapendo
dei miei interessi per la storia locale, mi mostrò un foglio che aveva trovato
in casa. C'era scritto testualmente: "Io giuro davanti Addio che il S.r giudice
e i figli mai mi hanno toccato che è stato uno che non posso dire."
Il foglio era firmato: Concetta.
La dichiarazione non fu mai usata perché non ci fu alcun processo, ma non
è improbabile che essa le fosse stata estorta con la forza.
Ad ogni modo, Maria, la figlia di Concetta, nata nel 1850, dopo alcuni giorni morì
di morte naturale e nessuno la pianse.
I discendenti di persone vagamente citate in questo racconto ora sanno che ho scoperto
ciò che fu a lungo occultato dai loro antenati sottraendo fascicoli delle
indagini. Le persone di oggi non sono diverse dei loro antenati: non si chiamano
più galantuomini, ma occupano importanti incarichi a livello internazionale.
Per impedirmi di proseguire il mio racconto potrebbero commissionare un incidente
o un delitto anonimo, di cui si potranno conoscere un giorno gli esecutori, ma difficilmente
si troverebbero prove contro i mandanti.
Ecco spiegato uno dei motivi per cui ho voluto coinvolgervi in questa vicenda. Il
fatto che io non sia l'unico a conoscere la verità rende la mia vita più
sicura.
A meno che non pensino di compiere una strage!
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