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MAZZIOTTI
Non voglio ripetere l'amletico dubbio che nasce pensando al labile confine che congiunge
la vita alla morte e il passato al presente, ma nella storia che state vivendo esso
è implicito.
La contemporaneità nel caso che segue non è un inganno temporale,
ma rappresenta la logica conseguenza delle azioni umane e il loro nesso fortuito.
Leggete e capirete.
Francesco Mazziotti guardò il cielo sopra di lui. Era steso a terra, le gambe
e le braccia aperte, e a fianco il fucile che non avrebbe più usato. Pensò
alla moglie Maria Gaetana. Era troppo stanco. Girò gli occhi e chiuse le
palpebre.
Il maestrale gli fece volare alcune foglie gialle sul viso e sui capelli neri. Una
foglia gli si attaccò sul petto coprendo il piccolo foro da cui era uscita
la vita.
Vicino il carrubo si ferma un camper. L'uomo alla guida ne scende, si sposta di
qualche metro sulla destra, si gira verso l'automezzo, poi si guarda intorno con
circospezione e piscia. Dall'altra portiera scende una ragazza che chiude gli occhi,
respira la piacevole brezza marina, quindi solleva il viso verso un pallido sole
autunnale che filtra tra i rami. Si sdraia a terra con le braccia e le gambe aperte.
Rimarrà così fin quando sentirà la voce della madre che la
chiama. Raccoglie qualcosa dal terreno e risale sul camper che il padre riporta
in retromarcia sulla strada, guardando negli specchi retrovisori. Dietro non vede
nessuno.
Un rigagnolo di urina si è raccolto poco distante formando una piccola pozza
nell'incavo dell'orbita vuota di un teschio, da cui è uscito uno scarabeo
in attesa di rientravi appena la terra avrà assorbito il liquido e i suoi
sali.
Dopo duecento anni meno uno ciò che restava di Francesco Mazziotti era tutto
lì, compresi ottomilatrecentocinquanta centimetri quadrati di terreno e un
carrubo che vi era cresciuto.
Chi lo aveva ucciso era nato a Parigi, la stessa città di origine della famiglia
Balzan, padre, madre e una ragazzina, in vacanza a Maratea.
Nessun particolare mistero, se non quello di un mondo che gira su se stesso e di
un sole che lo illumina fin quando ne avrà voglia. Maria Gaetana si scaldò
dello stesso sole che faceva brillare i bottoni della giubba di Francesco, suo sposo.
Quando li toccò l'ultima volta, ai suoi occhi di bambina orfana diventata
moglie e adulta in una notte, gli parvero d'oro.
La piccola Dominique Balzan, mostrando al padre un piccolo cerchio di metallo che
aveva trovato a terra, gli chiese che cosa fosse. "Un bouton" rispose
dopo aver gettato dal finestrino l'oggetto inutile che la figlia teneva sul palmo
della mano.
Il camper, prima di giungere a San Marco, fu fermato all'uscita di Campotenese,
con il pretesto di un soccorso.
Monsieur Silvestre Balzan non vide lo stupro della figlia, perché era già
morto. Il grido della madre riecheggiò invano tra i dirupi fino a spegnersi
sul greto del torrente.
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Era quasi l'alba quando i carabinieri giunsero sul posto.
Era quasi l'alba quando il legionario Domenico Balzano, nato a Parigi, giunse ferito
a Sammarco con la seconda compagnia del 22mo reggimento. Era stato ferito a Campotenese.
Morì alla piazza di sopra il 18 agosto del 1811. Una domenica.
Perché una famiglia italiana fosse in Francia nel 1786, anno di nascita di
Domenico, non sappiamo spiegarcelo, così come Monsieur Silvestre cercò
di scoprire perché un suo omonimo antenato e la moglie Anna Velato si fossero
recati in un piccolo paese della Calabria quasi due secoli prima.
Se avessimo potuto incontrarlo gli avremmo detto che erano venuti per riportarsi
a casa il cadavere del figlio.
Maria Gaetana, la giovanissima sposa bambina, invece, non seppe mai dove fosse il
corpo di Francesco. Il sette febbraio del 1819 si risposò con Pasquale, dopo
che il tribunale le aveva riconosciuto la condizione di vedova e andò a vivere
in contrada Bonavita.
Apparentemente nessuna vendetta legherebbe questi fatti che ho trovato tra le numerose
carte d'archivio, ma spesso la vendetta, quando essa si verifica casualmente, trova
persone che se ne vorrebbero attribuire la paternità. Altri credono che ci
sia la mano di Dio, la stessa che nella volta della Cappella Sistina si allunga
verso Adamo per dargli la vita, altri ancora sono convinti di essere in grado di
dare corpo ai propri nefasti auspici.
E così come c'è in ognuno di noi una maggiore o minore predisposizione
alla vendetta e al perdono, perché escludere la possibilità che ci
sia anche una predisposizione genetica a subire una vendetta?
La cosa potrebbe far sorridere, ma ciò che vi racconterò nella seconda
parte, a proposito del Medichicchio, una contrada di San Marco unita a Bonavita,
potrebbe indurvi a non escludere questa possibilità.
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